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S
di Umberto Violante

Sulla selva silente sotto il sole sfolgorante scendeva una soffice sabbia, sollevata nel Sahara dai salti di sessanta saraceni sconvolti dalla sete.

Sandokan, stupito per la sconcertante scoperta, si spostò a sud in soccorso dei suoi subalterni, soldatacci scostumati, sì, ma semplicemente superbi con spade, sciabole, scimitarre e scopettoni di saggina.

Sbarcato a Sumatra, si sposò in sei o sette secondi con una stupenda studentessa della Sorbona, Solange Sorel, simpatica come la Streisand e sexy come Sharon Stone. La salutò subito dopo lo sposalizio nel santuario dei SS. Sisto e Sistole, per scappare poi su una sgangherata scialuppa di salvataggio. Le strillò:

“Salutami i suoceri e non spaccare il salvadanaio per spendere i soldi!”

“Stronzo!” si sfogò Solange, non più sorridente e serena, bensì seccatissima per la scarsa sollecitudine di Sandokan verso gli sponsali.

Sospirando sconfortata, se ne scese nella stiva dello Sloop, dove Samuele, un saldatore di scarsa scienza ma di solidissime spalle, sudato e seducente nella sua scapigliata sfrontatezza, si sforzava nella soluzione di sciarade su un settimanale., Solange, solutrice scafata, per soccorrerlo si sdraiò sul sofà, gli si strofinò addosso e lo sbaciucchiò sensualmente sulle scapole.

Sicuramente non scoprirono soluzioni di sciarade, ma se la spassarono sanamente, scimmiottando Sandokan, scolandosi le sue sambuche e i suoi succhi di susine stipati nella stiva e scialacquandone le sostanze con spese scriteriate nei supermercati Standa di Samarcanda.

Nei Sargassi, intanto, Sandokan, solo soletto, seguiva con lo sguardo scorato la schiumosa scia della scialuppa, sognando saporiti spaghetti al sugo di seppia, salsicciotti, saltimbocca, supplì e spezzatini che la sposina (sempre in sogno) gli serviva in un sontuoso servizio di Sèvres con segnaposti in silver. Il sudicio servo Shalam, invece, gli scodellava in stoviglie di stagno scrostate uno squallido stracotto senza sale, senza salsa e senza sapore.

“S.O.S.! Serve solo alla sopravvivenza, Sandokan! - strillava lo sciattone, singhiozzando sotto le scudisciate - Scusami! Scusami! Non sospettavo che ti spettasse uno sfizioso spuntino”.

“Sì, salirò sulla scialuppa e, sfrecciando come un siluro, sarò subito da Solange. Staremo stretti stretti sul soffice sofà del salottino, spogliati, ma lei con le scarpe e io con gli stivali, senza scrivere e senza studiare. Oh, Solange, salvasti Sandokan dalla solitudine, sennò sarei uno Scottish Spaniel sperduto”.

Simili erano i sogni e le speranze del sultano, salgariano ma sempliciotto e, lo si sappia, stupidino.

Alle sei, spuntato il sole, Sandokan scese nella scialuppa, che subito scontrò uno scoglio sporgente e si sfasciò. Saltato nella spuma salata, scalzo e scamiciato, salì per la scoscesa salita, seguito dalle sue sentinelle di cui la settima, Sandrino Santoro, era la più simpatica.

Suonò, sicuro di sé ancorché sfinito dalla stanchezza, ma non sentì né scalpiccii né suono di sedie smosse. Suonò e suonò, ma Solange non si scorgeva.

Sandokan, sconcertato e serissimo, se ne stette lì, sopra la scritta in stampatello: “SALVE”.

“Sarà nella sauna - sentenziò speranzoso - o in salotto a suonare il sassofono, perciò non sente il sonoro scampanellio. Sarà con la suocera (oh, la spregevole strega!) a spettegolare e non si sente di sospendere le sue storielle. Ma no, sciocco che sono! Sarà sicuramente alla Sorbona a sorbire un sorbetto”.

Sostengo che Sandokan, per senno e scienza, stava sotto la sufficienza.

Sentendosi stufo e sugli spilli, sguainò lo sciabolone e, a spallate, salì su per le scale. Si sentirono strilli, singulti e scossoni, sinché, splendida e solare in un succinto saio di seta, Solange si sporse dallo scalone, spaventata.

“Sandy!? Sei salpato stamane? Che sorpresa! Ma perché sfasci le stanze? Smettila subito, screanzato!”

“Scusami, Solange, ma sentivo il sangue scorrere a seicento per lo sconcerto. Un secondo soltanto. Uno shampoo svelto svelto e sono su nella stanza degli sposi”.

“Ssst! Che strilli? Su non si sale! Ci sta Sibilla che sonnecchia.”

“Sibilla!? La sorellina?”

“Sì, ma se sente sto strepito si suggestiona e non scende.”

“Scende, scende, se salgo su a svegliarla. Sì, starò in silenzio, però speravo che saremmo stati soli, stasera”.

“Sarà per settembre, Sandy, stasera si sta in società”.

“E... si salta?”

“Sì”.

“Solange, spero che tu stia scherzando. Sogno o son sveglio?”

“Sveglio non sei stato mai”.

“Solange, tu sfotti! Sento del sarcasmo e sai che non so stare agli scherzi”.

“Non scherzo, Sandy. Sono seria, serissima. Speravi che ti sarei subito saltata sulle spalle sbaciucchiandoti e scodinzolando? Sei il solito scimunito! Sono stata sola per un secolo, ho sofferto sperando in uno scritto, in un segnale. Ma ora c’è chi sa sollevarmi lo spirito”.

E, salutatolo con uno sberleffo sfrontato, Solange se la squagliò con il saldatore scovato nella stiva, sbronzo per gli spumanti scolati e seminudo.

Solo nella sua solitaria stanzetta, tra scaffali sovraccarichi di souvenir e suppellettili, Sandokan si scioglieva in singhiozzi e sospiri senza sosta.

“Oh, sciagura! Oh, sfacelo! Stupido che son stato! Sostituito da uno scialbo saldatore semianalfabeta. Sandokan, Sandokan, sarai , sì, il supremo sovrano della Sonda, ma sei soprattutto il sovrano dei somari!”

Sistematosi un soffice scialletto sulle spalle scosse dai singulti, scolò un sorso di sambuca in cui Solange, prima di sparire, aveva sciolto subdolamente della stricnina.

“Per i sorci” avrebbe sostenuto la sciagurata con la stampa, sostenendo che Sandokan si era suicidato per lo sconforto e per lo stress.

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