Questa città non ha più imprenditori
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Il Giornale Sabato 15 marzo 1997

Non c'è dubbio, purtroppo, che la quasi impossibilità di trovare un posto di lavoro sia l'aspetto di gran lunga più importante e più centrale dell'attività politica di tutti coloro che si impegnano, ad ogni livello, nelle istituzioni. In questo drammatico contesto, il problema dei non occupati, ossia di coloro che mai hanno ricoperto un posto di lavoro, assume aspetti addirittura grotteschi: i non occupati, infatti, sono esclusi anche da quei minimi interventi assistenziali rivolti ai disoccupati, ossia a chi, avendo già lavorato, ha perso la propria occupazione. Purtroppo, e con una faccia tosta tipica della totale assenza di dignità politica, ancora recentemente abbiamo sentito fasulli predicatori che da autorevoli (sic!) pulpiti imboniscono il popolo italiano con promesse tanto truffaldine quanto inutili e inefficaci. Allora, in questo contesto politico nazionale dove il Governo Prodi si è assunto, come unico scopo, quello di deprimere l'economia dei ceti produttivi e creatori di nuovi e stabili posto di lavoro con un vessatorio regime fiscale oltre i limiti della sopportazione, Genova cosa può fare? Analizziamo due aspetti. Il primo riguarda l'imprenditoria genovese. Qui le note sono dolenti: l'imprenditoria genovese che guarda all'Ulivo come la propria casa ormai è interessata ad assumere cariche (retribuite) nel grande mare della pubblica amministrazione (Nicola Costa all'Opera, Carla Gardino alla Fiera, Lorenzo Caselli al San Paolo, Gian Vittorio Cauvin alla Filse, Gianni Marongiu al governo, e via dicendo). La degenerazione della politica e l'occupazione dei posti da parte della sinistra ha assopito la fin troppo cauta imprenditoria: mi auguro, e voglio incitarli, che gli imprenditori genovesi sappiano ritrovare l'antica e nostra voglia di "darsi da fare" per rilanciare Genova, magari ispirandosi, come ha fatto Davide Viziano, all'antica, gloriosa e produttiva Repubblica di Genova.

Il secondo aspetto riguarda le pesanti responsabilità degli enti locali genovesi. Non si rilancia Genova istituendo un numero indefinito di società per azioni a capitale pubblico (l'ultima nata l'inutile "Ponente Sviluppo SpA"); non si rilancia Genova con una velleitaria dismissione delle acciaierie senza nessuno sbocco per gli occupati, ma solo chiacchiere; non si rilancia Genova o facendo degli enti locali dei dispensatori di assistenzialismo dai nomi più fantasiosi (uno per tutti: "i lavori socialmente utili"). Credo che nelle loro minori possibilità di incidere direttamente sull'occupazione, la vera, grande e imperdonabile responsabilità del Comune, della Provincia e della Regione sia quella di voler gestire unicamente il declino e l'azzeramento della città. Genova ha la più alta imposizione fiscale comunale: guai se un negoziante mette una pianta fuori dal proprio locale! Tassato! Ma crediamo davvero di incentivare il lavoro con faticose peregrinazioni negli uffici comunali per una licenza e facendo pagare tutto al prezzo più caro?

Infine bisogna arrivare a una precisa chiarificazione sulle attività portuali, in particolare sul Vte che, con la sua fame di terra, sta sempre più devastando il Ponente cittadino. Chiediamoci allora quanti nuovi posti di lavoro è in grado di portare l'attività portuale e retroportuale, chiediamo con forza (e autorevolezza, signor Sindaco!) che a Genova vengano lavorate le merci, che si faccia la zona franca già deliberata dal parlamento, che si rilanci Genova nella sua immagine e nel turismo e non si trascuri la sua vocazione industriale. Solo così i giovani potranno avere un futuro in città. Saprà il nuovo sindaco superare questa sfida della città? Quello di Forza Italia certamente!

Prof. Franco Bampi
Capogruppo di FI
in Consiglio comunale

Genova, 14 marzo 1997