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Il Secolo XIX
Domenica 29 giugno 2008

LA DOMENICA

Panigaglia - un tesoro da pagare

Almeno qualcuno ripaghi la gente di Panigaglia, paradiso immolato al gas

Maurizio Maggiani


LA RIVISTA L’Espresso della settimana scorsa ha pubblicato un lungo reportage sul “Tesoro del golfo della Spezia”. Dove il tesoro si cela nell’insenatura di Panigaglia, ed è l’unico rigassificatore che albergano le italiche coste. Un rigassificatore è davvero un tesoro per la tragica fame di risorse energetiche del Paese; un doppio tesoro, se nei prossimi anni ne verrà raddoppiata la capacità; come nei noti piani dell’Eni, avveduta proprietaria del tesoro, e negli aperti auspici del settimanale L’Espresso, che in favore dell’azienda energetica nazionale realizza quella che in gergo chiamano “marchetta”. E i cittadini abitatori del Golfo c’entrano qualcosa, hanno una qualche relazione con il tesoro di Panigaglia? Il seno di Panigaglia era un tesoro ancor prima che l’Eni, 40 anni or sono, installasse i suoi impianti affittandolo dal Comune di Portovenere al cui territorio appartiene. Charles Louis de Secondat, barone de La Brède e de Montesquieu, filosofo della politica, creatore della teoria della separazione dei poteri, viaggiando per l’Italia capitò nel Golfo e si fece un bagno a Panigaglia; gli rimase così a cuore quel posto che nel suo diario di viaggio lo indica come la più bella insenatura del Mediterraneo. In effetti, chiunque si trovi a compiere il periplo del Golfo, lo faccia per mare o per terra, non può che rimanere estasiato per la bellezza di quel luogo; e non ne può che rimanere fortemente turbato, nel constatare che quella rara perla è sede di un impianto industriale. Come è accaduto in molte altre occasioni, a suo tempo la comunità ha ceduto un suo tesoro di inestimabile valore per un tozzo di pane. Lo ha fatto in un’epoca in cui la sensibilità ambientalista della classe politica era pari a zero, tempi di profonda ignoranza del valore del patrimonio ambientale, tempi di sviluppo economico senza se e ma, dove il tozzo di pane era compendiato in qualche decina di posti di lavoro, valutati come un bene sociale di incommensurabile valore. Negli anni i posti di lavoro non sono aumentati, anzi, la piccola comunità di Portovenere non riesce nemmeno a farsi pagare l’affitto dalla grande Compagnia, e per gli abitatori cittadini del Golfo Panigaglia è solo una delle molte cose di cui doversi vergognare al cospetto dei Montesquieu di passaggio. Per gli ambientalisti, una delle molte battaglie che conducono nella certezza di non poterle vincere mai e poi mai. Perché il rigassificatore naturalmente resterà finché ci saranno giacimenti di gas in qualche parte del mondo, finché col gas ci dovremo scaldare e cuocere la pasta. Allo stesso modo per cui resterà là a Vallegrande dov’è, la centrale termoelettrica dell’Enel, la più alta ciminiera d’Europa, e i molti morti di cancro sepolti ai Boschetti. Ma io penso questo. Penso che niente potrà ripagare congruamente i beni, e gli uomini, perduti; penso anche che la cosa più degradante a cui la comunità ha acconsentito è la constatazione dei propri errori passati come una malattia incurabile di cui si ha ripugnanza o vergogna o ipocrita ignoranza. Penso che degradante e incivile sia la questua di elemosine che gli amministratori hanno nel tempo attuato come se fosse una politica. Come se fosse una conquista, che ne so, il finanziamento di una squadra di calcio o di una manifestazione popolare. Penso, con tutta la sensibilità ambientalista che mi riconosco, che le comunità locali debbano avere coscienza che parte del loro patrimonio può essere alienato ai fini del bene comune, visto che sono sempre più povere di risorse, che non riescono più a provvedere ai servizi in modo dignitoso, che non è vero, non sempre, che sprecano, ma che hanno sempre di meno di quello che un tempo ricevevano dallo Stato e che non avranno mai più, con nessun governo&; visto che tutto sommato non è un male ma un’opportunità che le comunità imparino a provvedere per se stesse. Penso che questo bene comune sia anche fatto di centrali elettriche e rigassificatori, persino di discariche, se è vero che ognuna di queste imprese può essere condotta a buon fine senza che ci si debba morire o insozzare, degradare e impoverire; e pare che questo possa accadere, almeno per quanto mi è dato constatare circa la qualità della vita biologica e civile dei miei amici abitatori di altri golfi e colline, pianure e valli d’Europa. Penso che questa coscienza ne pretende un’altra, quella delle compagnie in favore delle quali la comunità cede parte preziosa di sé. Può essere sancito un ferreo patto di comune responsabilità in virtù del comune interesse. Niente elemosine, ma azioni di concreto duraturo benessere. Niente faccende di soldi, che i soldi sono liquidi e tendono a sparire nel suolo carsico dell’amministrazione, ma baratti che tutti i cittadini possono agevolmente controllare. Cose del tipo: ti do questo mio piccolo tesoro di territorio, ma tu ti impegni a trasformare un altro tesoro che giace abbandonato in un pubblico paradiso e lo mantieni tale da qui all’eternità. E tu invece costruirai tre asili nido e li arrederai in modo esemplare. E tu fornirai energia a metà prezzo, e tu curerai tutti gli anziani disabili di questi quartieri, e così via. Accordi con clausole di onesta vessazione che non impoveriscono certo le straricche compagnie, e che alla fine non possono che gradire, o essere condotte a gradire. Se la comunità sa imporsi con la forza che le è propria, quella dei suoi cittadini. Il realismo può essere molto più dignitoso e progressivo dei fatui contenziosi che durano in eterno per l’unica gioia di chi ci si vuole ricavare una rendita politica, il potere di imposizione dei cittadini assai più redditizio, per loro, di qualunque utopia infranta e di ogni struggente e sempre più remoto ricordo di ciò che ha visto Montesquieu nuotando a Panigaglia.

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