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Gli operai delle cartiere
nella Repubblica di Genova

Primo problema per ogni popolo in ogni tempo è la fame (...) Beninteso [che anche a Genova, ndr] l'idea di Stato sociale era di là da venire: soltanto si organizzò spontaneamente la pratica dell'imperativo cristiano-islamico della beneficenza obbligatoria; fu comunque una gran buona cosa poiché, anticipando di gran lunga la consapevolezza inglese del fenomeno del pauperismo, nessuno, qui, fu lasciato a morire di fame per la strada. (...)

Già prima del 1573 vigeva a Genova, in modo particolarmente severo, il divieto del «truck system», «forma di sfruttamento del proletariato della quale, al tempo della rivoluzione industriale, si resero tristemente celebri i manifatturieri inglesi, consistente nel malvezzo di pagare, almeno in parte, il salario mediante la corresponsione di merci - soprattutto generi alimentari - allo scopo di ricavarne un illecito lucro» (Giacchero).

È anche abbastanza sorprendente il premio di produzione che il protezionismo genovese di quel tempo assicurò per legge agli operai delle cartiere qualora il prezzo della merce raggiungesse o superasse «lire trentasei la balla»; appositi magistrati risolvevano alla svelta le contestazioni imponendo ai datori di lavoro di vendere il prodotto «all'incanto per procacciare i denari necessari alle paghe»: ingegnoso rimedio autoritario contro imboscamenti del cartello industriale suscettibili di causare arbitrari aumenti del prezzo, dannosi per i corsi internazionali della lira genovina. Si osservi che «secondo le tariffe del 1755 e del 1761» lo zecchino aureo di Genova stava al massimo di bontà con quelli di Firenze e Venezia, mentre nelle contrattazioni gli scudi d'argento genovesi superavano all'incirca di un punto tutte le altre monete coniate in questo mondo (imperi e regni non esclusi) più correnti e ufficialmente valutate sulla piazza di Genova.

tratto da Giuseppe Gallo, La Repubblica di Genova tra nobili e popolari (1257 - 1528), De Ferrari, Genova, 1997, p 387-388.


L'ordinamento corporativo e la sua funzione di controllo sulla produzione sui lavoratori

[ N.B. Il grassetto è mio così come sono mie tutte le variazioni del corpo dei caratteri ]

(...) Nella minuta e penosa casistica vincolante produzioni e commerci i Genovesi, come contropartita, seppero immettere i germi di una rudimentale legislazione sociale onde fossero garantiti i diritti del lavoratore. (...)

Anticipando una delle forme di sfruttamento del proletariato di cui più tardi - al tempo della rivoluzione industriale - i manifatturieri inglesi si resero tristemente celebri, doveva essere assai diffuso a Genova il truck system ossia il malvezzo di pagare, almeno in parte, il salario mediante corresponsione di cibarie - vino, pasta, grano, carni, ecc. - consentendo ai maestri di trarne un illecito lucro equivalente ad una vera e propria decurtazione delle mercedi. Contro quel metodo di sfruttamento il governo genovese non desistette emanando specifici veti nelle sue gride e riconfermando le proibizioni nei capitoli delle arti.

«Si proibisce - statuivasi per la corporazione dei lanieri - ad ogni e qualunque lanero di dare, e così ad ogni e qualunque manifatturiero di ricevere, rispettivamente né per sé né per interposta persona, vino, farine, ceci, lane, panni, né altra qualsivoglia sorte di robbe tanto comestibile come non comestibile, escluso il grano da concedersi conforme li capitoli in conto delle sue manifatture fatte, o da farsi, volendo che in ogni maniera le siano pagate le loro mercedi in denaro contanti, ne possino tampoco contrattare con loro tali robbe sotto qualsivogli titolo o pretesto nessuno escluso sotto pena in caso di contrafatione non solo delle contenute nelle leggi fatte finora ma etiandio al laniere di perdita della robba data, o contrattata come sopra. E perché con maggiore facilità si possano mettere in chiaro tali frodi, s'ordina che debbano li manifatturieri tenere il loro libretto, nel quale il laniero debba di sua mano scrivere di mano in mano li denari dati al manifatturiere sotto li suoi tempi respettivamente e non trovandosi scritta qualche partita a d.o libro non debba a modo alcuno essere fatta buona al laniere, ma s'intenda a caotella perduta affatto in pena della sua inosservanza».

Nei capitoli dei paperari del 1763 trovasi lo stesso divieto, il quale a sua volta si richiama ad una pubblica grida di quarant'anni prima, segno evidente che il proposito di preservare le mercedi operaie dai compensi sostitutivi era continuamente operante.

«Che le manifatture e mercedi si debbano pagare a Maestri Lavoranti ed altri Operai nelle fabbriche della Carta in pronto ed effettivo contante, e non possano essere astretti da loro rispettivi Principali a prendere in pagamento alcuna sorte di mercanzia, o altra roba comestibile, salvo l'importare della razione di pane e vino, quale possa essere data in effettivo di buona qualità però, ed a prezzi minori delle pubbliche Stapole e Fondachi, sotto pena di scuti 50 oro in tutto coerentemente alle grida de' 31 luglio 1723 ».

Infine, nelle leggi dell'arte della seta riformate l'anno 1785 - ultimo vigoroso tentativo di rafforzare il prestigio della maggior corporazione - il diritto di esigere la mercede in denaro contante viene riconfermato con leggere varianti:

«Le mercedi da contribuirsi a Tessitori, Tintori, o ad altri qualsivoglia Manifatturieri, che impiegano la loro opera nelle sete, debbano darsi in denaro contante, rimanendo proibito a tutti coloro che commettono lavori di dare pagamento in comestibili, o merci di qualunque genere, e ciò alla pena di lire 300 da applicarsi per metà al Fisco della Seta, e per l'altra metà all'Artiere cui fosse stato dato il proibito pagamento, che sarà sempre in tempo di denunziare, quando anche si fosse contentato di riceverlo, e se li dovrà far dare il dovuto pagamento in danaro effettivo. Sarà però tenuto l'Artiere a restituire li comestibili».

[ Nota a piè di pagina. Che nonostante le proibizioni vi fossero seatieri i quali, sfruttando particolari circostanze di disoccupazione, debole controllo od altro, pagassero parte delle mercedi in natura testimonia un biglietto di calice del 1743, nel quale dapprima si chiedono sgravi fiscali per l'arte e poi s'invoca che, «le manifatture non si diminuissero e si pagassero in danari contanti e non in robe commestibili et altro, che con tanto pregiudizio dei poveri manifatturieri da taluno si fa» A.S.G. Secretorum n. g. 1639 B ]

Anche il Magistrato de' Provvisori del vino - ben sapendo quante fatiche, specialmente dei «camalli» e dei più poveri artieri, venissero compensate con l'erogazione di qualche mezzarola di vino col doppio danno per il lavoratore di non poter ottenere una mercede utile al sostentamento familiare e d'essere indotto all'ubriachezza - preoccupavasi umanamente di arginare la diffusione di un costume che la copiosa disponibilità di un generico bracciantato in cerca di lavoro rendeva assai agevole e quindi sempre più dannoso. Richiamandosi alla legge del 22-23 luglio 1718 detti Provvisori con grida del 7 giugno 1736 al capo VI affermavano risolutamente

«che niun Padrone e Mercadante de vini, e ogni, e qualonque persona non possa permutar vini con Seatieri, Lanieri, Merciari, Camalli, ed altri Mercadanti e Artefici di merci e altre cose toccanti a loro respettivi mestieri e molto meno dare vini a' Manifatturieri e Camalli, in luogo della mercede, che deve essere in denari contanti per li lavori da essi fatti, e commessi, e porti de vini a qualonque titolo, che riguardi pagamento della loro respettiva opera, in maniera che sentono pregiudicio, e lo suofrono per non perdere l'occasione del lavoro, sotto l'infrascritte pene tanto a quei che li dassero quanto a quei che li accettassero».

Norme espresse dalle arti o, più spesso, statuite dai governi miranti ad infrenare il truck system si ritrovano durante il secolo XVII e nel seguente in quasi tutti gli Stati italiani ma in nessun altro finora risulta che esse fossero altrettanto esplicite, generalizzate ed immutate nel tempo.

Statuivano inoltre i Magnifici norme protettive dei salariati nei confronti dell'imprenditore conferendo mezzi ai lavoratori per il ricupero delle mercedi non pagate che in un'epoca di pieno e rigoroso privilegio costituiscono alto titolo di merito per i governanti genovesi.

I capitoli per l'arte della lana non consentivano ai maestri di prestar denaro ai loro dipendenti in conto di lavoro da farsi eccettuato il prestito fino a venticinque lire ai battilana e ai tessitori. Ogni somma prestata oltre quel limite poteva essere ricusata dal debitore,

«né possa il laniero pretendere contro d.o Manifatturiere cos'alcuna per tal credito, e tanto innanzi d.o Magistrato come a caotella innanzi qualsivoglia altro Mag.to della Città».

(...)

Queste norme (che trovano integrazione nelle consuetudini secondo le quali i Deputati alle arti proteggevano il lavorante per le mercedi non riscosse giungendo anche ad imporre al maestro una forzata vendita all'incanto per procacciare i denari necessari alle paghe) ispirarono una diffusa regolamentazione la quale è veramente esemplare nei capitoli per l'arte de' paperari. Non solo era vietato il pagamento in natura delle mercedi, ma stabilivasi il principio che nel favorevole caso in cui il proprietario della cartiera o il mercante avessero venduto la carta al prezzo di lire trentasei la balla, o maggiore, anche i lavoratori dipendenti avrebbero dovuto goderne beneficio ricevendo ciascuno un maggior compenso di due soldi per balla fabbricata. Il padrone era tenuto al pagamento dei salari ogni sabato; non ottemperando alla regola i maestri, i lavoranti e i garzoni potevano ricorrere al Capitano di Voltri oppure al Magistrato per l'arte de' paperari

«e tanto l'uno quanto l'altro avranno ogni più ampia facoltà di provedere loro di pronta e sommaria giustizia, con far anche prendere a' Padroni, e Mercadanti sudetti tanti paperi o stracci per l'importare di quel debito avessero verso de' Maestri, Lavoranti e Manifatturieri suddetti, e quelli far vendere a quel prezzo lui meglio visto, per indi pagare a Creditori quella parte fosse loro dovuta».

Con procedura analoga erano tutelati i lavoratori dipendenti dai seatieri. Era ammesso il ricorso al Magistrato della seta per le mercedi non riscosse, e trascorso un mese dall'istanza senza aver ottenuto il pagamento della somma spettante il lavoratore poteva ricorrere ai Padri del Comune i quali imponevano al seatiere un'ammenda a beneficio dell'operaio pari all'ammontare del salario dovuto: qualora il seatiere non avesse ottemperato all'obbligo entro otto giorni dall'intimazione, era lecito prendere nelle case, volte, botteghe del debitore tanta merce fino alla concorrenza del credito dei lavoratori e garzoni.

tratto da Giulio Giacchero, Storia economica del Settecento Genovese, Casa Editrice «Apuania», Genova, 1951, p 248-251.

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