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Inderê
Il Secolo XIX Lunedì 7 gennaio 2008

LA LETTERA

C’è chi prega e gioisce in dialetto

Ileana Anfossi

EMINENZA, leggo sul “Secolo XIX”del suo divieto di far celebrare la Santa Messa in lingua genovese. Mi risulta che nel Principato di Monaco il Vescovo della città celebri in tantissime occasioni la Santa Messa nella nostra amata lingua.

Mi permetto di dirle che il suo è un grave errore, in quanto il Santo Padre pur avendo ripristinato la Santa Messa in latino per l’universalità della religione che unisce popoli in ogni parte della terra, che attraverso lo stesso idioma pregano Dio, ha lasciato liberi i sacerdoti di tutto il mondo di celebrare l’Eucarestia nella lingua di appartenenza, come aveva sancito il Concilio Vaticano.

La preghiera è rivolta a Dio Padre e non all’uomo; pertanto ciascuno di noi può pregare nella lingua che desidera e nei modi che trova più opportuni; io ad esempio non prego solo in Chiesa, ma anche quando faccio i lavori in casa,e mi sento ugualmente vicino a Lui.

Pregare in genovese è un modo per unirci ai nostri cari defunti che questa lingua parlavano e riconoscendoci nelle parole si uniranno a noi con gioia attraverso il filo invisibile che scende dal cielo e si chiama Amore.

Il terzo anello della Nord è riservato ai genoani che ci hanno preceduto nel Regno della Luce, e tutte le volte che il Genoa gioca in casa noi li pensiamo presenti e li “vediamo” nel settore a loro riservato cantare e gioire con noi uniti nell’amore rossoblù.

Perché non pensare che anche nella genovesità della preghiera i nostri cari siano vicino a noi partecipi nell’omaggio a Colui che loro vivono ogni giorno?

Per questo ed altri motivi, non trovo giusto il suo divieto, che deve essere ripensato nel rispetto delle persone che pensano e agiscono nella tradizione e cultura genovese.

Un augurio per la sua attività pastorale.

Inderê