Un consiglio comunale da sopprimere
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Il Secolo XIX Giovedì 13 agosto 1998
Dite la vostra

A che cosa serve il consiglio comunale (ma quello che dirò vale, pari pari, per il consiglio provinciale)? Una risposta, affrettata, sarebbe: a niente. In realtà credo che serva solo a dare una sedia a politici disoccupati, abbondanti nella sinistra, e la consolazione di un magro gettone che, alla fine dell'anno, rappresenta complessivamente qualche mezzo miliardo di lire pubbliche sottratte a più nobili utilizzi. Questa mia convintissima affermazione trae origine dalle recenti riforme dell'ordinamento degli enti locali. In precedenza quasi tutti gli atti amministrativi erano di competenza dei consigli: alle giunte restavano le cosiddette competenze residuali che consistevano nell'attuazione delle deliberazioni del consiglio. Oggi i consigli sono stati sistematicamente spogliati (e forse giustamente) dei loro poteri e delle loro prerogative a favore della giunta comunale. Il consiglio non delibera più sui mutui, sulla gestione del bilancio, sugli appalti, sulle gare; si limita a fissare indirizzi generici e a svolgere una blanda azione di controllo vanificata dall'aver ridotto, giustamente, i poteri degli organi amministrativi di controllo (gli inutili CoReCo: Comitati Regionali di Controllo). Ma il fatto più evidente è che la legge per l'elezione diretta del sindaco dà al vincitore la totale potestà nella scelta degli assessori, che sono infatti le persone di fiducia del sindaco, e una schiacciante maggioranza (il 60% dei consiglieri) in consiglio comunale : il sindaco in sostanza fa quello che vuole, d'accordo con le forze politiche che lo sostengono. Forse tutto ciò è giusto: il sindaco, la sua giunta e i partiti suoi sostenitori renderanno conto ai cittadini alla fine del mandato elettorale quando saranno premiati con la rielezione o bocciati con la sconfitta. Ma allora perché non trarre le ovvie conseguenze di quanto ho descritto sopprimendo finalmente un consiglio comunale d iventato assolutamente superfluo? Attenzione: il sindaco deve fare gli interessi della città, non i propri o quelli della sua parte. Per questo bisogna sostituire l’attuale controllo preventivo di legittimità, esercitato dal CoReCo e dal segretario generale, con un controllo consuntivo di efficacia: questo era l’efficiente meccanismo usato dalla gloriosa Repubblica di Genova dove il Doge, che aveva assoluta libertà di decisione, doveva rendere conto ai Supremi Sindacatori che sindacavano, appunto, sulle conseguenze del suo operato. Ecco la mia proposta: il consiglio comunale (e parimenti quello provinciale) vanno soppressi; contestualmente all'elezione del sindaco si elegge un collegio di sindacatori, magari appartenenti all'opposto schieramento, i quali non hanno potere diretto per intervenire sull'operato amministrativo del sindaco, ma che hanno capacità di esercitare un controllo consuntivo e sanzionatorio sulle scelte del sindaco e della giunta amministrativa sulla bontà ed efficacia delle scelte del sindaco e della giunta avendo ampi poteri ispettivi e di controllo oltre alla facoltà di sanzionare, se servisse, l'operato del sindaco sulla base degli esiti della sua azione amministrativa. Un sottopasso, come quello di Genova Caricamento, che è costato a chilometro dieci volte quello della Manica, va sanzionato amministrativamente a prescindere dalle responsabilità penali del sindaco, di pertinenza della magistratura. Questo avrebbero fatto i sindacatori genovesi se avessero avuto la sventura di dover giudicare un Doge improvvido come l'ex-sindaco Burlando, oggi promosso a ministro.

prof. Franco Bampi
(dirigente di Forza Italia)

Genova, 30 luglio 1998