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EPOCA MEDIEVALE

La Liguria appare in questo periodo retta a Marca, dipendente dal marchese Oberto, investito dal re Berengario; ma Genova nella successiva divisione del dominio obertengo, divenne un «comitato» a sé, retto più che altro dal Vescovo da prima e di poi da un ordinamento comunale proprio, che trasse origine dall'associazione mercantile «Compagna». La quale non fu una società di puro carattere privato, ma ebbe, come la «Credenza di S. Ambrogio» di Milano e le «Arti» di Firenze, funzioni di vero carattere pubblico; perchè diede gli uomini e gli statuti più idonei al governo della pubblica cosa.

Data la intima fusione della vita religiosa con quella sociale nel medioevo, l'attività civica si svolgerà d'ora in poi attorno alla Chiesa di San Lorenzo, divenuta quasi l'Arengo ed il simbolo dell'unità cittadina.

La «Compagna» formata in massima parte da gente di mare, rinnovava le sue cariche periodicamente ed a poco a poco venne assorbendo tutti i poteri pubblici, esercitati prima dal Vescovo, partecipando all'Amministrazione del «Comune genovese», mediante i suoi «consoli» che erano, come i comandanti di navi, scelti fra i nobili.

Questa associazione si divise coll'andar del tempo in associazioni minori, sempre dette «Compagne» e solo gli iscritti e quelli che prestavano giuramento agli statuti, diventavano militi ed acquistavano diritto a partecipare al governo della città. Il Comune così amministrato dalle magistrature elette dalle Compagne, pur non disconoscendo la teorica autorità dell'Imperatore, custodiva e gelosamente difendeva le sue autonomie ed i suoi privilegi, come si vide nel 1154, quando mandò l'annalista Caffaro, mercante e giurista, alla Dieta di Roncaglia, ove seppe difendere di fronte al Barbarossa, i diritti di Genova con tanta eloquenza, che l'Imperatore rinunciò ad ogni atto bellico e si accontentò di un tributo, che non fu certo grave per i ricchi commercianti Genovesi.

Il fine cui mirava Genova era quello di liberare i mari dalle piraterie degli Arabi, che molestavano i suoi rapporti mercantili; era perciò conseguenza inevitabile che essa estendesse la sua influenza sulle isole mediterranee, si provvedesse di colonie e, in tale azione, venisse in rapporto di amicizia e di concorrenza con Pisa, repubblica marinara già potente.

Siccome Benedetto VIII aveva promesso la signoria della Corsica e della Sardegna a chi avesse debellato i Saraceni, dopo varie imprese e vicende, la Corsica fu assegnata ai Genovesi e la Sardegna ai Pisani.

Le due repubbliche non diedero requie ai Saraceni fin sulle coste africane, assalirono gli Arabi in Sicilia, finché nel secolo XII riuscirono a stabilire il loro dominio marittimo su tutto il bacino tirrenico.

Il periodo delle Crociate fu certo di particolare importanza per lo sviluppo di Genova, di cui accrebbe la potenza marinara e commerciale. Essa era eccellentemente attrezzata per queste spedizioni piene di rischi, e dal suo porto (pare dalla «Commenda», convento-ospizio, unito alla Chiesa di S. Giovanni) son partite le prime Crociate, a cui partecipò Guglielmo Embriaco, detto «Capo dl maglio», abile navigatore, architetto e guerriero, che dall'oriente portò il sacro Catino (il leggendario San Graal) e le ceneri del Battista.

Da queste fortunate spedizioni, comandate da arditi e abili capitani appartenenti alle famiglie della nobiltà genovese, Genova trasse immense ricchezze ed un esteso impero coloniale; ma anche motivi di rivalità continua con Pisa e con Venezia, che sboccò poi in sanguinose guerre.

Non ostante le rischiose e vittoriose imprese coloniali, la città non ebbe mai lunghi periodi di pace interna, nemmeno quando tentò di dare ordine e disciplina alla sua vita politica, rinunciando ai Consoli e preponendo su tutti un Podestà forestiero (1191). La nobiltà si scisse ben presto in due fazioni inquiete e rissose, che, dal sec. XIII fino al sec. XVI, spesso confondendo l'amore di patria con l'amore di parte, provocarono, salvo brevi intervalli, lunghe lotte fratricide ed occasionarono o favorirono le varie invasioni straniere.

Per merito della ricca borghesia, si tentò di comporre i dissidi interni sotto un nuovo magistrato, detto «Capitano del popolo» ed a questa carica fu, nel 1257, chiamato Guglielmo Boccanegra, di ricca famiglia di mercanti. Poichè tuttavia alcune delle nuove famiglie ricche, a poco a poco si lasciavan trascinare nelle contese di parte nobilesca, si riuscì ad evitare lo scoppio di nuove lotte con la felice istituzione di due Capitani del popolo, sotto i quali Genova godette finalmente un tranquillo periodo di prestigio e di splendore, affermandosi la «Dominante» del Mediterraneo, con il trattato di Ninfeo (1261), che la rendeva alleata e protettrice dell'Impero d'Oriente, ed infine con le vittorie su Pisa e su Venezia.

Per il nuovo governo popolare non si ritenne più adatto il vecchio palazzo del molo e fu costruito il magnifico palazzo S. Giorgio, ove la suprema magistratura restò fino al sec. XIV, quando potè trasferirsi nel nuovo palazzo ducale.

La potenza di Pisa cessò definitivamente nelle acque della Meloria (1284), ma la potenza di Venezia fu solo temporaneamente abbattuta nella battaglia di Curzola (1298), ove l'ammiraglio Lamba Doria (cui dalla Repubblica fu donato l'austero palazzo sito in piazza S. Matteo n. 15) fece prigioniero Marco Polo, che, appunto mentre era chiuso nel palazzo San Giorgio, dettò il suo famoso «Milione».

Durante questo glorioso periodo, Genova si rinnovò ed abbellì, costruendo chiese e palazzi, vide rifiorire i suoi commerci, protetti da una marina temuta, perché guidata da famosi ammiragli ed infine ebbe il raro privilegio di fornire alle marine europee i più esperti maestri d'arte navale ed i più abili condottieri di navi. Come si rileva da una iscrizione della chiesa di S. Stefano, nell'anno 1333 il nobile genovese Carlo da Passano, ammiraglio del re di Portogallo, come era stato suo padre, insieme con il concittadino Egidio Boccanegra, ammiraglio del re di Castiglia, ottenne una grande vittoria contro le armate dei Mori di Spagna e del Marocco. Oltre ai due suddetti, si sa che furono ammiragli dei re di Francia un Zaccaria, un Lomellini, un Doria, uno Spinola; dei re d'Inghilterra un Pessagno, un Usodimare, un Fregoso e del re Federico di Sicilia un Doria.

Caduto l'Impero latino d'Oriente, favorevole ai Veneziani, i possedimenti coloniali genovesi si estesero per numero e per importanza. Genova possedeva Caffa nel Mar Nero, Pera a Costantinopoli, colonie nel Mar d'Azof, in Armenia, in Siria, nelle isole dell'Egeo, sulle coste dell'Africa e della Spagna.

Alcune di queste colonie erano date in feudo a famiglie della nobiltà genovese (ai Gattilusio le isole di Lesbo e di Lemno, ai Centurione Metelino, ai Cattaneo Focea) pur restando la suprema signoria alla Repubblica da prima, ed al Banco di S. Giorgio dopo il sec. XV. Nel sec. XIV fu costituita la prima Maona, società per azioni che prese il nome di «Giustiniani» e fu formata da cospicue famiglie genovesi, per l'amministrazione e lo sfruttamento commerciale delle colonie (Smirne e Scio).

Questo vasto e ricco dominio fu a poco a poco perduto da Genova per le guerre che sostenne, sia per contrastare la rivalità di Venezia, sia per resistere alla prepotente espansione turca e sia per dover seguire le sorti dei suoi successivi alleati o dominatori europei.

Certo che il danno sarebbe stato minore, se la nobiltà genovese, cui spettava il governo, si fosse mantenuta unita e avesse mostrato nella sua attività civica quelle virtù, che così di frequente mostrava sui mari.

Invece le lotte rifiorirono, dividendo non solo le famiglie, ma anche i rami di una stessa famiglia e divennero fonte di conseguenze più gravi, quando la scissione prese il nome da Guelfi (Fieschi e Grimaldi), e Ghibellini (Doria, Spinola), da partiti cioè che, oltrepassando le mura cittadine, potevano occasionare o giustificare perniciosi interventi stranieri.

Difatti la Repubblica, smarrita dalle lotte intestine, di fronte all'imperatore Arrigo VII non seppe più difendere i propri diritti come di fronte al Barbarossa, e mentre fino allora, pur mutando spesso il proprio ordinamento, si era mantenuta sempre indipendente, durante le lotte fra Guelfi e Ghibellini, per l'intervento voluto o subìto di forestieri capi di tali fazioni, cominciò a perdere parte della sua autonomia e dovette seguire la politica del resto d'Italia, spesso cadendo addirittura sotto la signoria di principi stranieri.

Nel 1339, il partito popolaresco aveva tentato di liberare Genova da questi pericoli cui la sottoponevano le contese nobilesche affidando il governo ad un Doge, che fu scelto nella persona di Simone Boccangra, ricco mercante e discendente di Guglielmo. Egli, con il consiglio di una giunta popolare, stabili il bando dei Guelfi ed escluse i nobili dal Dogato.

Non mancarono le congiure contro questo regime, che tuttavia si difese con energia, non tralasciando di prender parte alle lotte contro gli infedeli, che subirono una grave sconfitta ad Algesiras, per merito dell'ammiraglio Egidio fratello del Doge. Il quale infine, rattristato dalle continue insidie interne, si dimise nel 1344 e si allontanò da Genova. Le sorti della Repubblica divennero sempre peggiori, perché la sua debolezza aveva acceso in alcuni Signori d'Alta Italia il desiderio di impadronirsene, favoriti in tale loro intento dalla stessa politica di Genova, irretitasi in un groviglio di alleanze e di contese, che la spossarono e la condussero a due rovinose guerre con i Catalani e con Venezia. Il valore degli ammiragli genovesi non si smentì nemmeno in queste due occasioni, ma, dopo varie vicende, Genova subì una grave sconfitta a Chioggia, che non ebbe tutte le conseguenze che si potevano temere, solo per l'intervento pacificatore di Amedeo VI, il Conte Verde, che dettò la pace di Torino (1381).

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