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Ritorno al mare: parte 2

Genova si trasforma e diventa un centro di traffici di ampiezza mondiale, raggiunge ottantamila abitanti, seconda solo a Parigi e Napoli, strappa ai saraceni prima, e ai pisani dopo, il controllo del Mar Tirreno, della Corsica e della Sardegna, si confronta con lunghe guerre con i veneziani per il controllo dei traffici con Bisanzio e i Paesi arabi.

Per altro, nessun genovese ritiene proficuo sottomettere città o popoli diversi, forse intuendo che chi toglie la libertà agli altri rischia di perdere la propria, trovandosi all'improvviso in casa un tiranno che per governare rischia di mettere in pericolo quegli investimenti che vengono garantiti dalla concordia interna e dalla pace con i potenti della terra.

Genova resterà sempre repubblicana, e sottoscriverà con le altre città delle Riviere e dell'oltre Giovo, da Voltri a Savona e Noli, da Alberga fino a Ventimiglia, da Recco fino a Levanto e Sarzana, da Ovada a Gavi fino Novi oltre i gioghi dell'Appennino, tutte comunità composte solo da liguri, degli Statuti che legittimano l'autonomia economica, fiscale e giuridica di ogni comunità.

Nel porto esiste uno spiazzo roccioso alto 50 metri, a picco sul mare, chiamato "Capo di faro" dove vengono accesi i fuochi segnalatori per le navi: lì viene costruita la "Lanterna" che ancora oggi è il simbolo della città.

Ma viene realizzato anche un nuovo molo per allargare lo specchio protetto del porto ed aumentare il numero delle chiatte per il trasbordo delle merci, una nuova cinta muraria, che comprende opere a mare frangiflutti, come quelle della Malapaga, e un acquedotto che per secoli rappresenterà una meraviglia di ingegneria idraulica.

Alle grandi famiglie nobili, se si escludono i Fieschi e i loro alleati, non dispiace impegnarsi nelle attività commerciali ed in particolare nelle attività finanziarie, le più distanti dall'impegno in azioni manuali, considerate indegne dalla nobiltà europea cavalleresca.

Partecipano con sempre maggiori guadagni alle fiere di Basancon, poi, viste le difficoltà politiche di questa città, organizzano in proprio le fiere di Piacenza, dove il denaro circola sempre più veloce attraverso le lettere di cambio.

Il denaro si trasforma e diventa leggero come le farfalle, commenta Ferdinand Braudel e, privo ormai di peso, può spostarsi in ogni luogo della terra.

Se genovesi e liguri rifiutano le guerre di conquista, non significa affatto che siano inadatti all'uso delle armi, anzi; non solo i popolani si offrono come soldati esperti nell'uso delle balestre, basti pensare alla famosa Compagnia dei Balestrieri del Mandracchio ma, anche i nobili offrono i propri servigi all'imperatore, a re e principi, nel ruolo di ammiragli e di generali.

Si pensi a Pessagno, ammiraglio del re di Portogallo Enrico il navigatore, a Cristoforo Colombo ammiraglio della regina Isabella di Castiglia, ad Andrea Doria ammiraglio della flotta di Carlo V, ad Ambrogio Spinola comandante dell'armata di Filippo II re delle Fiandre e della armata dell'Imperatore Ferdinando in Boemia.

In tutti, nobili e popolani, valeva la convinzione che fosse indispensabile darsi da fare per non dipendere da chicchessia e che contasse per vincere disporre non solo del coraggio, ma soprattutto della capacità di organizzare finanziariamente le truppe o le flotte: il vincitore della battaglia navale di Ponza, Assereto, era di professione notaio, Ambrogio Spinola conquistatore di Breda era in primo luogo un abile finanziatore e organizzatore delle retrovie dell'esercito più temuto in Europa, quello di Filippo II.

La nobiltà genovese non solo si dà da fare e non esita a far di conto, ma rifiuta di essere un circolo chiuso di eletti, accettando l'idea di essere una oligarchia aperta a chi si fosse affermato nel campo degli affari: i Durazzo, uno dei ceppi più ricchi della città che viene accolto nel Libro d'Oro della nobiltà, era di origine albanese.

Per tutti al primo posto nella scala dei valori, la virtù della parsimonia, intesa come gestione oculata e in equilibrio delle entrate e delle uscite, come suggerisce Leon Battista Alberti, nato in un palazzo del centro antico, equilibrio aureo sul quale crea le forme armoniche della architettura rinascimentale.

Spesso si leggono con poca chiarezza molte pagine della storia della città; quando durante il Quattrocento, le istituzioni repubblicane traballano per le lotte tra guelfi e ghibellini, a Genova si costruiscono caracche e galeoni, vere e proprie fortezze galleggianti veloci come le navi mercantili, e viene fondato il Banco di San Giorgio che sarà fino alla fine del Settecento la più importante banca generale dell'Europa.

Verso la fine del Cinquecento, davanti alla forza militare e marittima dell'Impero Ottomano e alla scoperta dell'America che trasforma il Mediterraneo in un lago periferico dei traffici mondiali, e a fronte della concorrenza delle navi Olandesi e Inglesi, i genovesi lasciano le attività marittime per creare un nuovo spazio di iniziativa: le attività finanziarie.

Attraverso il Banco di San Giorgio, il risparmio delle comunità e delle famiglie liguri, diventa capitale da prestito che viene offerto alle grandi potenze europee, dalla Spagna alla Francia, dall'impero di Vienna fino al regno di Scandinavia e delle Russie.

Su Genova si rovescia un flusso straordinario di ricchezze al punto che la città cambia volto; i genovesi abbandonano la Ripa e realizzano una Strada Nuova, fatta di tanti palazzi regali, attraverso i quali le case finanziarie genovesi mostrano al mondo le loro ricchezze, la loro solidità e la loro piena autonomia politica.

Sono i palazzi dei Magnifici, ossia di famiglie che non si considerano seconde a nessuno, compresi i re e i principi cui prestano tanto denaro.

Arrivano in città i migliori pittori presenti sul mercato da Rubens a Van Dyck, i migliori architetti dall'Alessi a Gian Battista Castello, da Pierin del Vaga a Bartolomeo Bianco, da Taddeo Carlone a Rocco Lugaro, che costruisce nel 1564 palazzo Grimaldi, il più ricco dei ricchi, in marmo rosa, oggi recuperato nella sua straordinaria bellezza, che è l'attuale sede del Municipio.

Solitario, fuori delle mura, Andrea Doria erige il palazzo detto del Principe, un titolo offerto da Carlo V, disegnato e realizzato da Pierin del Vaga, legando tra loro urbanisticamente il mare, nel quale finisce il giardino che adorna il palazzo a mezzogiorno, ai monti, dai quali scende l'acqua partendo dal Forte Sperone, passando per le polveriere del Lagaccio.

Mare e monti sono i simboli dell'immaginario genovese e ligure: il primo quale elemento dinamico e aperto al nuovo, il secondo immobile, con i suoi boschi e le sue croese, custode delle radici primigenie della schiatta ligure.

Per essere alla pari dei regni di Spagna e di Francia, l'aristocrazia genovese ostile all'idea che il proprio Stato sia di secondo rango in quanto Repubblica, ne fa un Regno, proclamandone Regina la Madonna.

Si tratta di una provocazione di straordinario impatto politico-sociologico, al punto da provocare le ire di Luigi XIV che non esita a sottoporre nel 1684 la città ad un terribile bombardamento terroristico, il primo nella storia europea, cui seguiranno quelli di Guernica, Londra, Dresda e, oggi, New York.

Nella ricostruzione della città, si distingue l'architetto Galeazzo Alessi, al quale si devono palazzo Lercari, palazzo Cambiaso, la chiesa di santa Maria di Carignano, la porta del Molo e le splendide ville Scassi e Grimaldi a Sampierdarena, villa Cambiaso ad Albaro e la Loggia dei Banchi e il nuovo modello della cupola della cattedrale di San Lorenzo.

Nelle arti figurative, il Seicento genovese rappresenta una delle massime espressioni pittoriche della penisola italiana, con pittori come Bernardo Strozzi, Andrea De Ferrari, Simbaldo Scorza, Benedetto Castiglione detto "il Grechetto" e con affrescatori di palazzi, da Andrea Ansaldo a Domenico Fiasella fino ai fratelli Giovanni e Gian Battista Carlone.

A cavallo tra Seicento e Settecento, Domenico Piola, Giorgio de Ferrari, G.B. Gaulli detto il "Baciccia", per concludere con Alessandro Magnasco, nei cui quadri c'è il trasalimento di un mondo che muore e l'inquietudine amara, spesso risolta in chiave ironica, di un artista chi già avvertiva, traducendolo in figure guizzanti e in pennellate tronche, un inguaribile male di esistere.

Mentre, alla fine del 1700, nasce in Inghilterra, quell'industria che viene mossa dal vapore, imponendo una svolta radicale all'economia mondiale, sul continente passa veloce come una cometa il grande imperatore corso che, tra le tante decisioni che impone all'Europa, tronca di netto l'autonomia politica della Repubblica e sopprime il Banco di San Giorgio.

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