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[ Estratto della sentenza ]

SENTENZA

Il Magistrato d'Appello in Genova
Sedente nella Causa
contro

Avezzana Giuseppe, ex generale della Guardia Nazionale di Genova; Reta Costantino; Morchio avv. David; Lazotti avv. Ottavio; Pellegrini avv. Didaco; Campanella avv. Federico; Cambiaso march. Giovanni Battista; Albertini Giovanni Battista, negoziante; Accame Nicolò, commesso di commercio; Borzino Carlo Ciro Aureliano, capitano marittimo; Weber Federico, orefice.

Tutti undici contumaci.

ACCUSATI

del reato previsto dall'art. 185 Codice penale; per aver preso parte principale nella insurrezione di questa città avvenuta sul declinare dello scorso mese di marzo e nei primi giorni del successivo aprile, scopo della quale era di mutare il governo legittimo dello Stato e sostituirvene altro.

Fattosi domandare ad alta voce in pubblica. udienza, per mezzo dell'usciere di servizio, se alcuno compariva agli effetti di cui negli articoli 459, 460 del Codice di procedura criminale.

Nessuno essendosi presentato.

Udito lettura della sentenza di rinvio pronunziata il 23 giugno ultimo dalla Sezione d'accusa, dell'ordinanza portante il nuovo termine a comparire, nonché dei verbali dell'affissione e pubblicazione di questa, fatta a suono di tromba e a termini dell'art. 457 di detto Codice di procedura criminale alla porta dell'ultima abitazione di detti accusati e a quella della sala d'udienza;

sentito all'udienza del giorno 21 corr. il sig. Vincenzo Adami, sostituto avvocato generale nella sua istanza per la dichiara in contumacia degli accusati:

riconosciuto che tutte le formalità dalla Legge prescritte sarebbero state osservate:

DICHIARA legalmente incorsa la contumacia di detti Giuseppe Avezzana, Costantino Reta, David Morchio, Ottavio Lazotti, Didaco Pellegrini, Federico Campanella, Gio. Batta Cambiaso, Gio. Batta Albertini, Nicolò Accame, Carlo Giro Aureliano Borzino e Federico Weber.

Sentita quindi in camera di consiglio lettura dei verbali, documenti e deposizioni scritte dei testimoni:

udito il suddetto Sig. Adami nelle sue conclusioni per l'applicazione della pena,

ed adempiutesi tutte le formalità prescritte nell'art. 168 del già citato Codice di procedura criminale;

atteso che dal complesso di documenti versati in processo e dalle collimanti ed uniformi deposizioni della maggior parte dei testi esaminati in proposito, risulta più che sufficientemente accertata la parte efficacissima che caduno degli inquisiti, come sopra posti in accusa, avrebbero presa nella insurrezione scoppiata in questa Città il 1° aprile prossimo passato contro le Regie Truppe, all'oggetto di cambiare e distruggere la forma del Governo con sostituirne uno provvisorio a quello che legittimamente esisteva e col separare di fatto Genova dal resto della nazione.

Consta infatti relativamente a caduno di essi, incominciando dall'Avezzana:

1° - Che questi nella sua qualità di Generale della Guardia nazionale di Genova, date le maggiori assicurazioni al Generale Comandante De Asarta, che sarebbe andato seco lui d'accordo, com'era di suo dovere, pel mantenimento del buon ordine nell'interesse del legittimo Governo, cui aveva prestato giuramento di fedeltà il 31 marzo prossimo passato, incominciò a manifestare alcune intenzioni opposte dicendo voler fare in quel giorno spiegar chiaro detto Generale (sic) persuaso come era che le di lui truppe non si sarebbero battute.

2° - Che all'indomani poi, giorno, secondo ogni apparenza, già fissato per lo scoppio della rivoluzione che si andava da lunga mano preparando, fatto inculcare ai parrochi d'animare il popolo a prestarsi in soccorso della patria, come se questa fosse in pericolo, ed all'oggetto di meglio persuadere il popolo d'un qualche imminente pericolo, fatte di pieno giorno chiudere tutte le porte, meno quella della Pila e della Lanterna, ordinò con reiterati inviti da lui firmati al Direttore del Portofranco di consegnare, per essere distribuiti al popolo, cinquanta casse di schioppi che si trovavano depositati per conto della Sicilia, ed ottenuta una tale consegna mediante promessa d'indennità e minaccia espressa in questi termini: che in difetto il popolo provvederà altrimenti al possesso di armi in questi momenti tanto necessarie; verso le quattro pomeridiane montato a cavallo e proferite ad intelligibil voce le parole: Adesso è fatta!, si avviò verso l'Acquaverde alla testa di una turba di armati, in mezzo al frastuono di tutte le campane compreso il campanone di Palazzo, che d'ordine suo suonavano a stormo, ed i tamburi che battevano la generale: che per istrada alla sua banda si unì pur quella d'altri armati che già ritornavano dalla Darsina che avevano assalita ed invasa gridando vittoria.

3° - Che giunti all'Acquaverde e fatta intimare la resa all'Arsenale dentro di cui erasi rinchiuso il generale De Asarta colle truppe della guarnigione, l'Avezzana comandò l'attacco; ma, dopo aver diretto il primo fuoco, ordinò e fece eseguire delle barricate, mandando ad occupare alcune posizioni che dominavano detto Arsenale, le quali armate di cannoni nella notte, determinarono l'indomani il generale De Asarta ad accettare e firmare una capitolazione in forza di cui si ritirava colle truppe da questa Città.

4° - Che nominato poscia l'Avezzana a far parte di un Comitato di Sicurezza, che non tardò ad erigersi in Governo Provvisorio, organizzò e diresse la resistenza che si oppose dappoi alle Regie Truppe che furono mandate per ristabilire la legittima autorità, e con ogni energia si oppose anche dopo che per essere fuggiti li due suoi colleghi, concentrati eransi nel Municipio tutti i poteri, acchè si cedesse o si accettasse una qualche capitolazione, scrivendo in una sua lettera del sette aprile suddetto al Municipio, che l'azione delle Regie Truppe era una violenza e la proposta capitolazione più infame dell'armistizio, lusingandosi forse del prossimo arrivo di soccorsi che gli si promettevano dall'agente della Repubblica Toscana La Cecilia, il quale in una sua lettera del 1° aprile, gli scriveva da Massa in termini che indicano come quella lettera dovesse essere ostensiva a più persone, essendo cosi concepita: «Amici [e certo questi esser dovevano i complici dell' Avezzana], nel ricevere la vostra lettera tutto si è messo in movimento. Il Delegato di Massa è volato a Firenze; voi avrete tutto; l'appoggio Toscano non vi mancherà; da Livorno, faremo partire volontari e denari; preparatevi a riceverli; io poi, appena arriveranno, mi metterò in marcia; intanto Lerici, Sarzana e La Spezia si muoveranno e mi attenderanno. Coraggio, coraggio, avanti, avanti! - Il vostro LA CECILIA».

5° -Infine che l'Avezzana, unitamente agli altri due soli colleghi, pubblicarono proclami, decreti e manifesti da tutti e tre firmati, in uno dei quali, dichiarato cessato il legittimo Governo e subentratovi quello del popolo, e sciolto cosi ogni giuramento delle Autorità civili, amministrative e militari verso il medesimo, si invitavano tutti gli impiegati a far atto d'adesione al Governo Provvisorio, sotto pena di essere considerati come nemici della patria; in altri facevasi appello agli abitanti delle due riviere onde si considerassero separate dal Piemonte e venissero in soccorso della loro antica madre e capitale; in un terzo tentavasi pure di staccare la truppa dalle sue bandiere per prender servizio a difesa di Genova, cercando persuaderla di essere stata tradita e venduta nei campi di Novara, mentre poi in altro si prometteva un soprassoldo di L. 3 al giorno a quei popolani che sarebbero concorsi di già a combattere la guerra contro i sleali soldati dell'esercito piemontese e che avrebbero continuato a prestare il loro servizio contro le Regie Truppe.

Atteso in quanto al Reta che da parecchi testi viene deposto com'egli in una delle ultime sere di marzo prossimo passato, nell'arringare una moltitudine di persone che trovavasi sulla piazza del Palazzo Ducale, la eccitasse contro il Governo cercando di persuaderla che il Regio Governo con arti subdole ed inique aveva tentato d'ingannare le popolazioni, ma che il Parlamento non volevasi rendere solidale della vergogna derivata dall'armistizio di Novara, e risulta poi da quelle deposizioni, non meno che dai documenti relativi che nominato esso Reta a membro del Comitato di Sicurezza, mostrò dapprima qualche difficoltà ad accettare, se il Municipio non facesse parte di quel Comitato; ma ciò non ostante per quanto il Municipio siasi costantemente ricusato di entrarvi, egli accettò e ne esercitò le funzioni, firmando in un coi suoi colleghi non solo quei decreti e proclami di cui si è fatto cenno parlando dell'Avezzana, ma eziandio i mandati ed ordini di pagamento, fra cui uno scritto e firmato da lui solo, in cui sotto la data del 3 aprile si ingiungeva al Tesoriere provinciale di consegnare al latore di quell'ordine il Tesoro, previo inventario di quanto si conteneva in quell'ufficio, di cui gli sarebbe dato scarico dallo stesso ed altro ordine parimenti da lui solo firmato, in cui s'imponeva al Municipio di pagare una somma di lire diecimila al Governo Provvisorio; quale somma lo stesso Reta in una sua lettera al Sindaco dichiarava essere stata da lui stesso ricevuta e passata a mani del coinquisito Weber per recarla ai soldati lombardi in Bobbio onde impegnarli a venire in aiuto della insurrezione.

Atteso in quanto al Morchio, che dalle deposizioni di parecchi testimoni si evince che nella sera del 1° aprile p. p. trovandosi egli nel teatro di Chiavari, si pose a parlare ad alta voce delle cose d'Italia e ad eccitare le persone ivi adunate di venire in soccorso di Genova, che ne aveva il maggior bisogno, e siccome lo stesso erasi pure portato a Cicagna, corse voce che in quella vallata cercato avesse far dei proseliti onde spalleggiare l'insurrezione di Genova. Che tornato in Genova nel giorno 2 aprile, accettò di esser membro del Governo Provvisorio, ed oltre essere concorso all'emanazione di tutti quelli ostili proclami di cui si è fatto carico all'Avezzana ed al Reta, e a tutte quelle disposizioni che si diedero per impedire il ristabilimento del legittimo Governo, esso in particolare fece rilasciare con decreti da lui solo firmati, certi Lorenzo Vassallo e Agostino Oliva detenuti sotto processo, e firmò pure un decreto tutto vergato di suo carattere, che accordava piena amnistia ai soldati sotto processo, purché assentissero a giurar fedeltà al Governo Provvisorio e passare al suo servizio, e firmò pure un ordine in data delli 4 suddetto, con cui venne ingiunto al Tesoriere provinciale di pagare subito a quello del Governo Provvisorio la somma di lire diecimila;

Atteso, in ordine a tutti gli altri coinquisiti, prima di scendere ai particolari indizi che militano a carico di caduno di essi, giova ritenere, a scanso di soverchie ripetizioni, che vengono essi generalmente segnati in processo, come agitatori continui del popolo e promotori della maggior parte delle dimostrazioni ostili al Governo, che ebbero luogo in questa città, e come quelli avendo fin da principio preso a circuire l'Avezzana tanto nel Palazzo Tursi quanto nelle sale del Governo Provvisorio, formavano agli occhi di molti de' testi, una specie di Consiglio segreto dell'Avezzana; e di quei governanti da cui era stata preparata e provocata la seguita insurrezione. Ciò premesso passando a parlare dell'Avv. Lazotti risulta dal detto concorde di parecchi testi:

1° - Che allorquando nel giorno 27 marzo prossimo passato, contro il divieto del generale Avezzana li tamburi della Guardia nazionale battevano la generale si fu esso Lazotti uno di quelli che si arbitrarono di ordinarlo onde incominciare a far gente e far nascere qualche fermento;

2° - Che nella serata delli 28 marzo suddetto egli dalle finestre del Palazzo Tursi arringò il popolo eccitandolo ad armarsi col cercare di persuaderlo che era stato tradito coll'armistizio di Novara;

3° - Che posteriormente in occasione che trattavasi di armare la popolazione, sulle osservazioni da taluno fatte, che non convenisse distribuire armi a persone già condannate dalla giustizia, pubblicamente rispondeva doversi, anzi a loro darle, quasi di preferenza, perché erano quelle che si battevano e sostenevano il partito.

4° - Che allorquando si riuscì ad ottenere la consegna alla Guardia Nazionale, mediante l'arresto dell'Intendente Generale, dei forti dello Sperone e del Begato, si fu lui che alla testa di una squadra di armati andò pel primo a prendere possesso del Begato, raccomandando ad altri di fare altrettanto pel forte dello Sperone.

5° - Che di là egli fece un rapporto all'Avezzana in cui lo eccitava a farsi consegnare altri forti, od a provvedere in modo che il Diamante occupato ancora dalle truppe, non potesse rendere illusoria l'occupazione dello Sperone e del Begato, che erano da quel forte dominati.

6° - Che creato il Governo Provvisorio, egli si installò presso dello stesso scrivendo e firmando ordini, istruzioni, mandati, alla stessa tavola dei suoi membri, firmandoli tanto a nome proprio, quanto per detto Governo, come se egli ne facesse parte, a talché il Morchio ebbe a dire che si erano il Lazotti ed il Pellegrini, che continuavano a far le carte in Genova.

7° - Che ad un uffiziale qui rimasto dopo seguita la capitolazione col generale De Asarta, negò egli il permesso di uscire dalla città dicendogli esser giusto che se dal De Asarta erasi violata quella capitolazione, s'infrangesse pure dal Governo Provvisorio, coll'impedire la partenza di quelli compresi in essa, che non erano ancora partiti.

8° - Che infine esso Lazotti, facendola quasi da capo, sotto la data delli 4 aprile scrisse una lettera da lui firmata pel Governo Provvisorio al Cassiere, in cui gli ordinava di non abbandonare l'ufficio neppure per mangiare, perché altrimenti in un momento di urgenza esso sarebbe obbligato a far sfondare l'uffizio e la cassa, li momenti essendo supremi.

Atteso in quanto all'Avv. Pellegrini che dal processo risulta:

1° - Che nella sera in cui venne tolto il plico che dal generale De Asarta si spediva al generale La Marmora, si fu esso che dalle finestre del Palazzo Tursi, in aria di disprezzo, ne diede lettura al Popolo.

2° - Che esso era stato uno di quelli che, presentatosi con molti altri militi al Generale De Asarta, aveva reclamata con maggiore insistenza la consegna dei forti alla. milizia comunale.

3° - Che mentre la moglie del generale De Asarta era ritenuta in ostaggio al Palazzo Tursi, volendo iscusare il marito col dire che non avrebbe potuto cedere altri forti alla Milizia Comunale, senza rendersi spergiuro e tradir l'onore militare; fu udito il Pellegrini risponderle ad alta voce: non esservi più Re, esser Sovrano il popolo, e non riconoscersi più Re.

4° - Che nella sera delli 31 marzo p.p., dopo aver vivamente eccitato il popolo ad insorgere magnificando l'ingiustizia dell'armistizio, il tradimento del Governo e del Municipio, e la necessità di armarsi, essendosi da taluno gridato Evviva il Governo Provvisorio, esso fece osservare esser meglio per allora intitolarlo Comitato di Sicurezza per procurarsi una più facile adesione, che poi spiegato meglio il vero desiderio del popolo gli si cambierebbe titolo, ma doversi a tal fine ricorrere al Municipio, verso dove recatosi quell'assembramento gridando però sempre Viva il Governo Provvisorio, esso rinnovando sempre quelle sue osservazioni, e conchiudendo che il titolo nulla cangiava alla cosa, propose un Triumvirato nelle persone di Avezzana, Reta e Morchio, e questo venne tosto dalla folla acclamato.

5° - Ch'esso nel giorno 1° aprile prossimo passato, trovandosi armato alla testa d'una banda che gridava Vittoria, vittoria, nel tornar che facevano dalla Darsina fu incontrato dal generale Avezzana quando questi recavasi all'attacco dell'Arsenale, e si uni colla sua banda a quella che era comandata dall'Avezzana, ed in tale circostanza esso animava gli uni all'attacco ed altri a trascinar cannoni, per trasportarli a Pietra Minuta ed a Montegalletto, rilasciando poi lui stesso gli ordini di pagamento per coloro che eransi prestati ad un tal lavoro.

6° - Che nella notte delli 4 alli 5 aprile suddetto, egli fu uno di que' due, che qualificatisi Commissari del Governo Provvisorio, intimarono all'ufficiale di bordo del vapore Arno di salpare da questo porto per Chiavari, onde andarvi a prendere i Lombardi, rilasciando a scarico di quell'ufficiale un'analoga dichiarazione tutta da lui scritta.

7° - Che in Chiavari egli arringò il popolo narrando come Genova fosse insorta contro l'armistizio di Novara, e si trovasse in bisogno di soccorsi che esso reclamava in di lei favore.

8° - Che tentato avendo esso ed il Morchio di fuggire dal porto di Genova, minacciati ed obbligati a scendere dalla barchetta in cui si trovavano, venendo rimproverati di abbandonare cosi il popolo, dopo averlo essi cotanto eccitato, si scusò col dire esser tanto compromessi che se le cose andavano male sarebbero stati entrambi impiccati.

Atteso in quanto al Campanella che risulta dalle deposizioni di parecchi testi:

1° - Che il medesimo figurando tra li graduati più influenti presso l'Avezzana nel Palazzo Tursi, era egli pure intervenuto col Lazotti a prender possesso del Begato, ed approvando il di lui rapporto lo aveva seco lui firmato onde mettere in avvertenza l'Avezzana della necessità di provvedere a che le Regie Truppe di presidio al Diamante offendere non potessero il presidio Comunale del Begato.

2° - Che in occasione dell'attacco dell'Arsenale esso Campanella prese parte a quella fazione essendo stato veduto in quei momenti all'Acquaverde vestito da Capitano d'Artiglieria, colla sciarpa in tracolla.

3° - Che nominato dal Governo Provvisorio a Colonnello dello Stato Maggiore, come persona dichiarata da quel Governo di sua piena confidenza, accettò quell'impiego e rimase quasi in permanenza a fianchi dell'Avezzana per continuare a dirigere e spalleggiare la causa dell'insurrezione, dare e diramare ordini ed istruzioni, e dare il suo avviso circa le persone che chiedevano il permesso di uscire dalla Città.

4° - Che egli aveva rilasciato ordine di pagamento, firmando pel Governo Provvisorio, a favore di coloro che a Montegalletto si erano battuti contro le Regie Truppe.

Atteso quanto al Cambiaso:

1° - Che alla chiusura del Circolo Italiano, esso radunò in sua casa quelli dei soci di detto Circolo che vollero continuare a congregarsi.

2° - Che in ogni circostanza da Palazzo Tursi mostrossi al Popolo qual uno dei capi del movimento, eziandio in quella in cui sovraeccitate le passioni dai discorsi che si facevano dal Lazotti e dal Pellegrini, minacciavasi di voler entrare a prender l'armi.

3° - Che negli ultimi giorni del marzo p.p. esso Cambiaso all'oggetto di eccitare maggiormente il Popolo, e predisporlo sempre più a prender parte all'insurrezione, che stava per iscoppiare, inventò e divulgò una falsa notizia, che diceva essergli stata mandata dal Mastro di Posta di Pontedecimo, cioè che giunti fossero già cinquecento ulani; ma risaputosi ciò da quel Mastro di Posta che venne a smentirlo nel Palazzo Tursi, fu dal medesimo obbligato a disdirsi col pubblico da una finestra di quel Palazzo, e ripiegò allora a dichiarare che quella notizia gli era stata data da un ignoto.

4° - Infine che creato Maggiore dello Stato Maggiore dal Governo Provvisorio, che per pubblico proclama lo dichiarava persona di tutta sua confidenza, accettata una tale carica, esso di continuo rimanevasi presso l'Avezzana ed il Governo Provvisorio, nello stesso modo ed allo stesso oggetto del Campanella, per dirigere cioè ed aiutare la insurrezione; favorire e preparare i mezzi di resistenza contro il ritorno della legittima autorità, e prendendo parte a tutti li congressi, che ivi si facevano in proposito.

Atteso in ordine all'Albertini che risulta dal processo:

1° - Che seguito l'arresto arbitrario del Generale Comandante della Piazza, esso alla testa degli individui che scortavano la carrozza in cui quegli veniva tradotto, colla spada sguainata, minacciava di ferire il cocchiere se non faceva camminare più lentamente i suoi cavalli.

2° - Che nella sera delli 31 marzo p.p., sguainata la spada, offrivasi pronto di andare con cinque o seicento uomini a prender l'Arsenale; e proclamato che fu il Triumvirato, si pose ad esclamare con giubilo: Finalmente ci siamo arrivati.

3° - Che l'Albertini incaricò persona influente di trovar modo di radunare tutti i barcaiuoli sotto li portici della piazza di Caricamento, onde poterli aver pronti a sua disposizione per favorire l'insurrezione.

4° - Che datosi da lui nel pomeriggio del 1° aprile successivo, l'ordine che si battesse la generale e si andassero a prendere posizioni contro le R.R. Truppe, recossi in compagnia dell'Avezzana all'attacco dell'Arsenale.

5° - Che l'indomani alla testa di duecento o trecento uomini, andò a prender possesso dell'Arsenale, ed ivi ben lungi dall'impedire il saccheggio, che vi si faceva di molti oggetti di quello stabilimento, apparisce anzi che vi prendesse parte e lo favorisse, per cui venne da altri surrogato nel comando che provvisoriamente eraglisi affidato di quel posto, ed egli ne fece vivissime lagnanze.

6° - Che nella sera del 1° aprile, ad ora molto avanzata, esso Albertini in compagnia di varie persone armate, recossi in casa del Sindaco Barone Profumo, il quale poco prima erasi ritirato per indisposizione di salute, e con parole minacciose ed una pistola in mano, il costrinse a ritornare, come ritornò al Municipio, per spedirvi ordini di somministranze di viveri, e pagamento di buoni pei combattenti alle barricate.

7° - Infine che lo stesso Albertini tentò ogni mezzo onde indurre il suddetto generale Ferretti a far atto di adesione al Governo Provvisorio.

Atteso in quanto al Nicolò Accame che, indipendentemente da tutti gli eccitamenti dati colla stampa nel giornale di cui egli era redattore, onde spargere il malcontento nella popolazione, contro il Governo, e spingerla all'insurrezione per cui troverebbesi egli già sotto processo, risulta dalle deposizioni concordi di parecchi testi de visu:

1° - Che nel giorno 1° aprile p.p. egli trovavasi alla testa degli insorti che erano diretti all'attacco dell'Arsenale, e si fu lui che andò ad intimarne la resa, la quale essendosi ricusata, diede luogo al combattimento che si impegnò tra una parte e l'altra.

2° - Che si fu lui, che nel giorno successivo d'incarico dell' Avezzana, e qual suo rappresentante stipulò, conchiuse e firmò la capitolazione fattasi col generale De Asarta per la resa di detto Arsenale, e la partenza delle truppe da Genova, e dai circostanti forti.

3° - Che firmò esso l'ordine in virtù del quale venne delegata terza persona a prendere possesso della Darsina in nome del Governo Provvisorio, dopo aver dato in compagnia dell'Albertini l'incarico al capo dei barcaiuoli di metter costoro a loro disposizione, sotto li portici della piazza del Caricamento.

4° - Che esso assunse la qualità di segretario del Governo Provvisorio, e come tale firmò il decreto dell'amnistia, che si prometteva ai militari detenuti, che avessero riconosciuto il Governo Provvisorio, e firmò pure varii mandati di pagamento, e proclami di cui era incaricato di curare la stampa.

5° - Infine che in detta qualità egli minutò e sottoscrisse due lettere in data degli 3 aprile scorso, che furono rinvenute fra le carte lasciate dal Governo Provvisorio, le quali erano dirette a due Parrochi di questa Città, perchè facessero suonare, come di fatti si suonarono in tutta quella notte, le campane a stormo.

Atteso in quanto al Borzino, che risulta parimenti dal processo:

1° - Che lo stesso fu uno di quelli che nel giorno 27 marzo p.p. ordinò contro il divieto del Generale Avezzana ed allo stesso criminoso fine del Lazotti di battere la generale, e dopo esser concorso all'arresto della staffetta spedita dal generale De Asarta, impadronitosi del plico di cui era lo stesso latore e rottine li sigilli lo rese aperto, cosicché poté il coinquisito Pellegrini darne lettura al pubblico.

2° - Che nella sera del 27 marzo quando vennero portati li schioppi al Palazzo Tursi egli vi figurava come il capo di susurratori che andando e venendo coi suggerimenti di detti coinquisiti Lazotti e Pellegrini, eccitava il popolo ad armarsi e figurò pure per tale quando venne arrestato e ritenuto in ostaggio l'Intendente Generale al Palazzo Tursi, provocando egli costantemente il popolo a dimostrazioni contro il Governo.

3° - Che nel giorno 1° aprile egli fu veduto entrare in Darsina cogli insorti a chiedere ai custodi l'ubicazione dei magazzeni delle munizioni e d'indi in poi vi fu veduto recarvisi giornalmente.

4° - Che nel giorno successivo esso prese il comando e la direzione di una barca cannoniera pel di cui equipaggio riceveva paghe dal Governo Provvisorio, e fatta uscire la medesima dal porto dirigendola nelle acque di Sampierdarena, da detta barca vennero tirati varii colpi di cannone contro le Regie Truppe accampate in quei dintorni, avendo egli pure tentato inutilmente, malgrado le sue minaccie, di avere dal Comandante della Marina un numero sufficiente d'uomini per equipaggiare un'altra consimile barca.

Atteso finalmente in quanto al Weber che sebbene sia generale opinione che egli pure prendesse una parte effettiva nell'insurrezione di cui è caso, non sarebbevi però prova sufficiente in processo che egli sia stato veduto a far parte degli insorti, che a mano armata attaccarono le Regie Truppe e fecero resistenza contro di esse, e solo havvi a di lui riguardo che amico e compagno di tutti gli anzidetti inquisiti, tanto prima quanto dopo la seguita insurrezione, volontariamente si assunse l'incarico di recarsi, come fece, a Bobbio ed a Tortona con una somma di lire diecimila, fattasegli sborsare dal Governo Provvisorio, onde colà recarsi e fornire l'occorrente ai soldati lombardi che vi si trovassero per sollecitargli ad accorrere in aiuto dell'insurrezione già scoppiata contro del Regio Governo, e nulla per parte sua si lasciò d'intentato per riuscirvi lasciando a tal fine una lettera dell'Avezzana al Colonnello Thamberg, Comandante quella Divisione, colla quale si invitavano detti soldati a quello scopo ed aggiungendovi anche li suoi particolari eccitamenti all'uopo medesimo, non senza indizio che fosse stato da lui colà. portato quell'analogo proclama che dopo il di lui arrivo si vide pubblicato in Bobbio.

Attesoché tutte queste circostanze avvalorate dalla notorietà dei fatti, dalla voce pubblica e dalla contumacia di tutti detti inquisiti manifesta appalesano la loro correità nell'attentato di cui si tratta nella qualità di agenti principali in quanto alli primi dieci, e di complice soltanto in quanto al Weber.

PER QUESTI MOTIVI

ha dichiarato e dichiara convinti li suddetti Avezzana, Reta, Morchio, Lazotti, Pellegrini, Campanella, Cambiaso, Albertini, Accame e Borzino d'essere agenti principali dell'attentato come sopra ad essi imputato, ed il Weber d'esserne complice, in senso però del secondo aliena dell'art. 109 del Codice Penale. Epperciò visti gli articoli 185, 201, 20, 109, seconda alinea e 23 di detto Codice Penale così concepiti:

ART. 185. - Sono parimenti puniti colla pena di morte l'attentato e la cospirazione che hanno per oggetto di cangiare o distruggere la forma di Governo o di eccitare i sudditi o gli abitanti ad armarsi contro l'Autorità.

ART. 201. - Oltre alle pene stabilite neg]i articoli 170 e seguenti sino all'art. 199 inclusivamente pei crimini di lesa Maestà, ciascuno degli autori e complici dei medesimi sarà sempre condannato ad una multa che sarà dai Magistrati fissata secondo le circostanze, ed avuto riguardo alle sentenze dei delinquenti, e potrà estendersi sino a lire 50.000.
Colla medesima sentenza saranno inoltre i delinquenti condannati all'indennizzazione in quella determinata somma, a cui già risultassero ascendere le perdite, ed i danni derivati da detti crimini, tanto allo Stato quanto ai particolari, salvo ragione per quel maggiore risarcimento che fosse in seguito per accertarsi essere dovuto.

ART. 20. - Le condanne di pene di morte, e di lavori forzati a vita, traggono seco la perdita dei diritti specificati nell'art. 44 del Codice Civile.

ART. 109. - Seconda alinea. - Negli altri casi la pena dei complici sarà diminuita da uno sino a tre gradi secondo le circostanze.

ART. 23. - Le sentenze di condanna alla pena di morte, di lavori forzati a vita, ed a quelle pene, cui va aggiunta la berlina, saranno stampate ed affisse e pubblicate nella Città, in cui sono state pronunciate, nel Capoluogo del Comune, in cui fu commesso il crimine, nel luogo dell'esecuzione ed in quello del domicilio, della dimora del condannato.

Ha condannato e condanna in contumacia i primi dieci alla pena ai morte ed il Weber a quella dei lavori forzati a vita, come pure alla multa di lire ventimila il Cambiaso, di lire duemila il Lazotti e di mille lire cadauno tutti gli altri, alla privazione dei diritti civili, contemplati nell'art. 44 del Codice Civile, alla indennità che di ragione ed alle spese, mandando stamparsi, affiggersi e pubblicarsi la presente Sentenza a termini dell'art. 469 del Codice di Procedura Criminale.

Genova, 24 luglio 1849

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