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Accade oggi


Sì senza il quorum e senza l’accento

È possibile che sulle schede elettorali sia ancora e sempre stampato il sì senza l'accento? È un grave errore che non deve essere sottovalutato perché indica per lo meno superficialità e qui il discorso si farebbe lungo. Che cosa costa stamparlo corretto?

 
Ernesto Riva, Lettere, La Stampa, mercoledì 18 giugno 2003.


Uso e abuso di un verbo

Ritengo opportuno suggerire quello che io penso sia il modo corretto di usare il verbo «evacuare». Evacuare significa svuotare la cosa a cui ci si riferisce. Se noi evacuiamo un edificio lo svuotiamo, se noi evacuiamo una persona la svuotiamo, solitamente riferito all'intestino. Verificato ciò, sarebbe più corretto che i diversi giornalisti e commentatori dei media si attenessero alla semplice regola esposta. È opportuno evitare di dire che le tali persone del tal paese sono state evacuate, ma dire che sono state spostate, trasferite, rimosse...

 
Sergio Delgrossi, Novara, Lettere, La Stampa, sabato 30 novembre 2002.


Un mostro della lingua italiana

Nelle ultime settimane un nuovo orripilante termine è stato coniato: «badante». Ho consultato per scrupolo il Devoto-Oli e non ne ho trovato traccia. Forse il termine «dama di compagnia» non era considerato politicamente corretto, ma il burocrate di turno avrebbe potuto evitare di introdurre questa parola terrificante nella lingua comune.

 
Marco alabrocca, Alessandria, Lettere, La Stampa, venerdì 30 agosto 2002.


Plurale in italiano

Cito dalla pagina http://www.francobampi.it/italiano/accade_oggi.htm ...

Non da meno lo sono i giornali e la tv. "Le lobby" per "le lobbies", "due killer" per "due killers", ecc. Dicono che si tratti di una convenzione, ma è pur sempre una brutta convenzione. ...

Sono perfettamente d'accordo che si sta esagerando con l'uso dell'inglese: ormai lo si usa anche in casi in cui il termine italiano esiste da tempo... per esempio basket e volley.

Quello su cui non sono d'accordo è il modo di fare il plurale indicato nella lettera di Giovanni F. Cerutti. Nella lingua italiana, quando prendiamo a prestito parole da altre lingue, queste sono invarianti in genere e numero. Per cui "le lobby" è corretto e tra l'altro è anche molto più bello di "le lobbies".

Non rischiamo di fare come quell'onorevole che disse in televisione "i curriculums", e per favore non diciamo nemmeno "i curricula" che è meno brutto, ma altrettanto sbagliato!

Saluti, Angelo Mascaro [ angelo@mascaro.it ]

 
Ing. Angelo Mascaro, messaggio e-mail ricevuto sabato 2 marzo 2002 ore 13.32.


ABBASSO GLI AGGETTIVI E GLI AVVERBI INUTILI

Mi è capitato di leggere sotto l'insegna d'un esclusivo circolo di dipendenti di una nota catena di grandi magazzini: «È severamente vietato l'ingresso ai non soci». Ma bastava scrivere: l'ingresso è riservato solo ai soci. Vietato significa che non si può. Ogni aggiunta di aggettivi o avverbi e puramente pleonastica e denota pure una certa arroganza.

Il burocratese. C'è da chiedersi quando si semplificherà diventando razionale, accessibile a tutti e, quindi, meno ostico. I concorsi vengono banditi sempre con la stessa formula: entro e non oltre una certa data: come si potrebbe fare una cosa entro una data e parimenti farla anche più in là nel tempo?

Chi vive solo, come me, viene definito: famiglia mononucleare. Si scomodano così due nomi collettivi per qualificare una persona singola che più singola non si può. Chi abita in casa d'altri pagando un affitto, per il burocrate è il conduttore che significa anche altre cose.

Anzitutto chi guida un mezzo di trasporto. Con l'avvento della televisione è colui che dirige lo svolgimento di una trasmissione. E anche un corpo nel quale si può avere il passaggio di calore o di elettricità. Ma l'inquilino è solo l'inquilino. Inequivocabilmente.

Un attimo è una frazione di tempo brevissima, un attimino è un battito di ciglia, un lampo. Passi usare l'uno e l'altro per indicare un lasso minimo di tempo, ma è obbrobrioso dire che una minestra è un attimo salata. Perché non dire un poco come si è sempre fatto?

Tempo fa era cosa rara sentire un discorso in cui non si includesse almeno una volta «nella misura in cui». Poi è venuta la moda di dire «al limite». Ora è l'epoca dell'attimino.

Si è sempre detto che siamo un popolo di santi, poeti e di navigatori, attributi prestigiosi, ma continuando a sciorinare gli attimini, o altre amenità del genere, aggiungeranno pertinentemente e inevitabilmente: e di scriteriati.

A meno non ci si dia tutti una bella regolata.

 
Stefano Rissotto, Melzo (MI), Lettere al Decimonono, Il Secolo XIX, sabato 7 luglio 2001.


L'ORRIBILE ITALINGLESE

L' anglomania, che in forme e misure diverse ha contagiato un po' tutti, spesso è causa di vistosi e grossolani errori.

Sorvolo su quanto scrivono i giovani (per lo più studenti) sui muri e all'interno dei treni. Mi limito a citare l'errore più frequente: "Fabio love Anna" con il verbo senza la s finale della terza persona singolare.

Anni fa, ebbi modo di vedere in un negozio genovese un augurio natalizio un po' particolare: "Marry Xmas". Imperdonabile svista!

Non da meno lo sono i giornali e la tv. "Le lobby" per "le lobbies", "due killer" per "due killers", ecc. Dicono che si tratti di una convenzione, ma è pur sempre una brutta convenzione.

Ad esempio, se leggessimo su una rivista inglese "five bambino killed", noteremmo subito l'irregolarità e la cosa darebbe fastidio. Alla radio, poi, pronunciano spesso all'inglese Debussy (Dibiussi), Beethoven (Bitoven) e persino la città austriaca Linz (Lainz)!!

A chiusura di questo ameno quadro, mi piace ricordare che presso la biglietteria di un museo romano, su un cartello si legge: "Ticketteria".

È l'italianinglese, conseguenza diretta dell'anglomania!

 
Giovanni F. Cerutti, Genova, Lettere al Decimonono, Il Secolo XIX, domenica 6 maggio 2001.

Angiporto e vocabolari

Leggo sul "Secolo XIX" del 6 luglio la seguente didascalia: "L'angiporto di Genova negli anni Sessanta: marinai e lucciole".

Presumo che la parola angiporto voglia significare zona antistante o vicina al porto. Se così è, giudico l'uso sbagliato. Infatti il Devoto-Oli definisce la parola angiporto: 1. vicoletto, chiassuolo genrl. coperto e oscuro, cui di solito si collega l'idea dello svolgersi si attività equivoce. 2. arc. Darsena con magazzini nella parte più interna e difesa del porto (Dal lat. angi- portus "stretto passaggio).

Su "Il Nuovo Zingarelli Minore", più semplicemente, è scritto: Vicolo senza uscita / Strada angusta.

Quindi è tutt'altra cosa.

 
Gian Franco Piano, Sestri Levante (GE), Lettere al Decimonono, Il Secolo XIX, sabato 15 luglio 2000.


È così bello l’italiano!

In molti, almeno quelli che, come me, hanno un certo bagaglio di primavere sulle spalle, ricorderanno che ci fu un tempo in cui in Italia andavano molto di moda, e se ne subiva il fascino, i francesismi. Però, appena si poteva si traducevano in italiano. Ecco allora cambiare chauffeur in autista, réclame in pubblicità, frappé in frullato, atelier in sartoria, mennequin in indossatrice coiffeur pour dames in parrucchiere per signore.

Oggi, contro il dilagare degli anglismi, o ci manca la possibilità o la volontà di tradurli nell’equivalente termine nostrano al fine di renderli accessibili a tutti, al punto che si sta consolidando una nuova lingua, non insegnata ma inventata, un “italiese” accolto e sostenuto non solo dai giovani, ma in molti ambienti, circoli culturali e sportivi.

È grottesco che se si deve mettere una parola giusta al posto giusto questa debba essere in inglese. E chi l’inglese non lo conosce?

Oggi si offre un “drink” non un aperitivo; il “relax” fa molto più effetto del rilassante riposo; e la fine settimana? Ohibò, ma c’è il “week-end”; e chi dice più: “va bene, d’accordo”, ormai dilaga a tutti i livelli l’”okay”. “Marketing – budget – training – target - ...” ma che vorrà dire? Lo sanno tutti?

Alla Camera si discute spesso sul “Welfare state”, argomento che riguarda i pensionati, ma in quanti ne conoscono il significato? Costa troppa fatica tradurlo in “stato assistenziale”? Non sarà che il non usare questa invasione di anglismi ci faccia temere di essere considerati inferiori?

Ciò non vuol essere una preconcetta chiusura verso esotismi e neologismi. D’altronde neppure Leopardi li chiuse fuori dalla porta affermando che, se una certa parola non trovava l’esatto riscontro nella nostra lingua non c’era ragione che non la si potesse usare.

Ora però io penso che si stia un pochino esagerando. Molti nuovi vocaboli della scienza, della tecnica, della politica, dello sport e della canzone provengono da fuori casa pur esistendo, il più delle volte, la corrispettiva traduzione nella nostra lingua, e per la maggior parte della gente risultano essere parole misteriose.

Io dico, perché non accontentarci che l’italiano sappia l’italiano dal momento che assai spesso, leggendo qua e là si scoprono erroracci grammaticali da matita rossa? Perché pretendere che conosca anche l’inglese?

Dante Alighieri è considerato il padre della nostra lingua. Ma se tornasse a vivere stenterebbe non poco a riconoscere questa sua figlia e possiamo immaginare il suo smarrimento davanti a bungalow, doping, Kitsch, offset, outsider, part-time, flash back, turn over, fast food, network, ecc. ecc. lo dico: a che serve parlare e scrivere quando si è capiti solo da una minoranza?

 
Eugenio Bosi, Genova, Lettere al Decimonono, Il Secolo XIX, venerdì 13 agosto 1999.

A commento noto che la situazione è, se possibile, ancora peggiore: si deforma il significato delle parole italiane conformandolo a quello delle parole inglesi. Il caso tipico è rappresentato dal verbo realizzare, che significa conseguire o attuare concretamente un fine, ma che è frequentemente usato nel significato del verbo inglese to realize che significa capire, accorgersi, rendersi conto. Un significato tutto differente! Sono quindi da aborrire frasi quali "Ho realizzato che era stanco", ma va correttamente detto "Mi sono reso conto, ho capito che era stanco".

 


Almeno la grammatica!

Al numero 12 dell'elenco abbonati, se ti tocca aspettare che un operatore sia libero, una voce registrata ci dice: "La sua richiesta sarà soddisfatta prima possibile".

Immagino che impiegare un maggior numero di operatori sarebbe oneroso mentre per chi dirige il servizio imparare la grammatica italiana e l'uso dell'avverbio "prima" sarebbe doveroso.

 
Biagio Assereto, Genova, Lettere al Decimonono, Il Secolo XIX, martedì 27 luglio 1999.

Prima: avverbio. Opposto a dopo, indica anteriorità nel tempo e nello spazio.
Presto: avverbio. In breve tempo.
Va quindi detto "La sua richiesta sarà soddisfatta il più presto possibile".

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