Non guardo il colore della pelle
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Il Secolo XIX Martedì 18 dicembre 2001
Lettere

Se mi è concesso, vorrei rispondere alla lettera del signor Enos Bracci. Il suddetto dice di non voler affatto integrarsi con le persone mediorientali. Vergogna, queste mentalità fascistoidi devono cessare, l'odio non deve prevalere. Le mie sembrano parole scontate, retorica fondata sul buonismo, come il "signore" penserà leggendole, ma non è così.

Non siamo alle crociate, non in era coloniale, non siamo all'oscurantismo medievale, siamo in un terzo millennio dove tutti odiano tutti, dove le nuove crociate americane lottano con le bombe e non con la sciabola.

L'utopia del mondo perfetto, anche se affascina tutti, me compreso, non può avvenire finché esisteranno sempre quelle persone che, come il sopraccitato, chiudono gli occhi di fronte ai problemi degli altri, prendono a calci i lavavetri per strada gridando loro di andare a lavorare.

Non ci sto (come disse Scalfaro nei suoi auguri sansilvestriani), siamo uguali, siamo un solo popolo. Non sono un Martin Luther King genovese, ma un ragazzo che ha voglia di credere in un futuro più umano, senza persone che diffidano di tutti, senza persone che guardano il colore della pelle. Il nome lo lascio anch'io, e gli scrivo tendendogli una mano, ha torto ma bisogna che qualcuno gli apra gli occhi: senza l'unità dei popoli, un giorno la sveglia ce la darà un fungo atomico.

Paolo Repetto
Genova

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