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Il Giornale

Mercoledì 29 marzo 2006


PRENDIAMO ESEMPIO DAL BALILLA

Lasciamo il mortaio nel fango

Questo è il momento adatto per iniziare qualcosa di buono

Silvio Camillo Repetto

Caro Direttore, anche oggi per la terza volta ho guardato il giornale con maggior cura del solito perché volevo vedere se qualcuno aveva detto qualcosa a proposito del «che l’inse?» ed ho dovuto vedere che nessuno aveva raccolto il suo invito del 15 c.m.

Ebbene mi voglio accingere a questo compito sperando di riuscirci. Che l’inse deriva dal verbo insàa che vuol dire iniziare, dare inizio, cominciare non come un inizio qualunque ma come modifica di uno stato di cose, una specie di deflorazione, si insa una torta come si insa uno stato di cose nell’intento di modificare lo stato stesso, ad es. un’opera lirica non potrà mai essere insàa.

Ebbene io penso che il nostro onorevole G.B. Perasso trovandosi davanti ad una torma di crucchi che volevano ad ogni costo rialzare il mortaio di bronzo dal fango in cui era sprofondato e forse vedendo che nessuno, pur borbottando, cercava di ribellarsi agli inviti perentori gridò la frase suddetta «che l’inse?» volendo significare «Che cominci io?» e lanciò il sasso che mise in fuga la torma di crucchi che trovarono ospitalità oltregiogo e mise fine ad una occupazione e portò alla costruzione del Santuario della Vittoria che alta e forte regna su Genova ad imperituro ricordo di coloro che lo... vogliono.

Insàa vuol dire dunque cominciare, modificare ed io ben ricordo ancora quando una vecchia zia di mia madre davanti ad una succulenta torta di ardiciocche diceva «insila ti che ti ghe veddi».

Però penso che forse non sia un caso il fatto che la sua richiesta abbia trovato virulenza proprio in un periodo in cui c’è qualcosa da insàa.

Stamattina guardando la Tv alle sei e mezza, la solita concessione alla Tv dopo il risveglio unicamente per vedere se qualche potente ci aveva lasciati nella notte o se qualche altro disastro era accaduto, ho potuto vedere una serie di spots pubblicitari uno in particolare che forniva un elenco di gioiose visioni tristi di ragazzini dagli occhi smunti e senza scintille come quelli dei boat people che fuggivano da quel paradiso, una signora dalla faccia altrettanto fiduciosamente triste destinati ad assorbire cibi non Ogm ed altri rigorosamente protetti da insidie capitalistiche scelti per voi da un qualche ministero della verdura o simili, e terminava questo spot dicendo «questo sei tu cosa vuoi di più?» secondo la logica collettivista a te la proprietà a me il possesso che per essere più precisi non è la stessa cosa anzi potrebbe avere un sapore di truffa. Ed allora ho pensato che ci sia qualcosa da insàa, non accettare gli inviti di coloro che hanno, il mortaio nel fango e non sono capaci a risollevarlo ma fare in modo che lo debbano abbandonare per l’oltregiogo. Perché io qualcosa di più vorrei. Vorrei che mio nipote potesse crescere con gli occhietti vispi desideroso di mangiare quello che vuole indipendentemente Ogm o simili ma cibi scelti da mia nuora o da mio figlio prescindendo dalle esigenze di tentacoli di partiti ed organizzazioni varie che con la scusa di proteggerti ti obbligano a fare la spesa dove vogliono loro, vorrei che non diventasse un cattocripto senza sugo e senza prospettive azzimo, insipido ben armonizzato nel più ampio quadro del mondo equilibrato che in fondo ti lascia l’alternativa di scegliere tra l’obbedienza e la Siberia, quel mondo che abbiamo potuto finora evitare ma che è sempre lì proteso come una minaccia. Quello sei tu cosa vuoi di più? Dicono ma tu apri l'occhio se lo conosci lo eviti.

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