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Il Giornale

Domenica 5 marzo 2006


LE FALSITÀ STORICHE

Siamo vittime dei rivoluzionari francesi

Un vocabolario per estirpare
nei giovani l’uso del dialetto

I GIACOBINI FECERO UN ESPIANTO-TRAPIANTO SOCIOCULTURALE
La legittimità della Repubblica di Genova esiste di sua natura e senza elezioni

Raimondo Gatto

Caro Direttore, mi permetta di entrare in polemica con Giacomo Petrella, in relazione al suo scritto del 1 marzo u.s.

Ho sottomano il «Dizionario domestico, Genovese-Italiano» di Giuseppe Olivieri (1841 tip. Ponthenier e f.) che è privo (guarda caso) di un glossario «Italiano-Genovese»; ne spiegherò il motivo. Per ammissione dell’autore, lo scritto fu redatto allo scopo di estirpare nei giovani la consuetudine di parlare in dialetto. I genovesi furono così forzati a non usare più il termine «ballòu», ma il più «politicamente corretto», «pianerottolo», a soppiantare «mugugnâ», per sostituirlo con «brontolare», e così «restuggio» con «pagliuolo», «refrescûmme» con «lezzo», «negiâ» (impastatore di frittelle) con «bericuocolajo» o «cialdonajo».

Fu un’operazione di espianto-trapianto socioculturale, progettata dai pennivendoli della Francia rivoluzionaria, che, nella penisola italiana furono accreditati soprattutto dalle baionette dei giacobini, continuando ad impazzare dopo la falsa restaurazione di Vienna. A questa genìa (nessuno me ne voglia) appartenne Alessandro Manzoni, che aveva in orrore il dialetto lombardo. I territori dell’ex Repubblica di Genova, non sfuggirono a questa operazione di livellamento, e così i popoli dell’occupante sabaudo. È lo stesso Giuseppe Olivieri, così preoccupato di estirpare i dialetti liguri, per uniformarli alla parlata toscana, a scrivere: «Il dialetto Genovese comincia a Monaco e finisce sulle sponde della Magra» (pag. VII - prefazione). Nessuno nega che la Liguria sia appartenuta all’area della latinità, ma il vero collante dell’Europa tradizionale pre-rivoluzionaria, cui apparteneva la Repubblica di Genova, non era la lingua latina, ma la Religione Cattolica; il latino era la lingua dei dotti, indispensabile per le relazioni internazionali; lo era per la Chiesa, onde evidenziare l’unità del culto,ma le prediche furono sempre in dialetto.

Tra gli stati della penisola italiana, sempre per ragioni diplomatiche o commerciali, nel XVII secolo invalse l’uso di redigere i documenti in italiano: ma era una lingua esclusivamente scritta, che nessuno parlava, né popolo, né nobiltà. Tra una piccola lite di letterati era invece molto «chic» conversare in francese, come il primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, che si rivolse ai romani in questa lingua, dopo l’aggressione l’aggressione di Porta Pia nel 1870.

Per comprendere di come i liguri avessero ben chiare queste loro specificità, emerse al tempo dell’occupazione francese (1794-1800) quando il popolo insorse, da Sarzana a Ventimiglia, per difendere la Patria e la Religione.

La Liguria e Genova, erano una patria vera, non quella fabbricata dai libri della scuola dell’obbligo, che ha occultato la verità per inculcare ai giovani la favola del «risorgimento» massonico, creatore dello stato unitario e centralista.

Caro Petrella, io considero Mazzini e Garibaldi dei liguri degeneri, perché furono i portatori di quella infausta ideologia che produsse lo stato unitario italiano, generato non tra il popolo, ma tra le alcove e le logge di Londra, e le bettole di Montevideo.

Un unico appunto agli amici del MIL; quello di far dipendere la legittimità della Repubblica di Genova, dal voto popolare, riesumando, (senza volerlo), quel principio che ha distrutto gli stati tradizionali. Mi spiego; la legittimità, (cioè il diritto) esiste di sua natura, e non necessita di conferme elettorali; la proprietà di un appartamento, ad esempio, è certificata dall’atto notarile, e non può essere messa in discussione dal voto dei condomini.

Per concludere, io non contesto che i liguri appartengano alla nazione italiana, ma che il nostro popolo sia stato incluso forzatamente nello «stato artificiale italiano», con il conseguente offuscamento delle sue particolarità, è un dato indubitabile.

Ben vengano quindi, tutti coloro che hanno il coraggio di sollevare la coltre di menzogne che da duecento anni è scesa sulla vera storia delle nostre genti; menzogne che consistono nell’aver adattato la verità dei fatti all’ideologia del tempo, allo scopo di attuare un disegno predefinito.

Giustamente questo giornale, ha denunciato le menzogne che ci sono state inculcate sulla guerra civile 1943-45; perché non denunciare anche le bugie e le omissioni operate anche a proposito del «primo risorgimento», padre legittimo (secondo me) del «secondo»?

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