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Il Giornale

Sabato 4 marzo 2006


L’IDENTITÀ DEI LIGURI

Napoleone la chiamò «nazione ligure»

La memoria del passato
per un migliore avvenire

Paolo Giardelli*

In merito al dibattito sull'«Identità ligure» giova riflettere su quanto scriveva Teofilo Ossian De Negri a proposito dal pericolo di lasciarsi «irretire dalla sirena ligure», consapevole che l'«ethnos ligure per noi rimane un mistero, ed il suo interesse "storico" viene a ridursi e a coincidere in gran parte col fatto linguistico». Quanto alla radice semantica di Genova da Janua = Giano è forzatura degli annalisti medievali, anche se il genuino Genua di radice indoeuropea contiene in sé analogo concetto di «porto». Qualunque sia l'etimo di Genova - come notava il De Negri - non rimanda ad una base etnica, come nel caso di Albingaunume Albintimilium, oppido o città (albion) rispettivamente degli Ingauni o degli Intemeli.

Per chi è sensibile al tema può essere utile rileggersi un saggio del 1971 di Geo Pistarino, dall'intrigante titolo: La Liguria: Regione Nazione. L'illustre storico indicava nella Provincia Maritima Italorum, il territorio da Ventimiglia a Luni al baluardo appenninico, organizzato dai Bizantini nel secolo VI, «sul piano politico, amministrativo, religioso, militare, la prima configurazione di una Liguria, sia pure sotto altro nome, in cui può ravvisarsi il vero e proprio antecedente della regione attuale». L'invasione longobarda mise fine a quella Liguria, precipitata nel buio della storia. A distanza di molti secoli riaffiorerà durante la breve stagione della Repubblica democratica, alla quale Napoleone Bonaparte si rivolgerà nel 1797 con l'appellativo di «nazione ligure», che fuori di retorica certificava un processo di aggregazione e comune sentire giunto infine a compimento. Così Geo Pistarino, il quale, a conclusione del suo scritto, affermava: «Si parla spesso d'una civiltà fiorentina, d'una civiltà veneziana. Crediamo che si debba cominciare a parlare anche d'una civiltà ligure e genovese, indagata ed illustrata negli aspetti più profondi, che la riveleranno diversa, non inferiore alle altre. Poiché chi contempla i colori dei borghi a specchio sul mare o i castelli e i paesi arroccati sui monti come fiori di roccia, chi ripercorre a Genova la via dei Re, o si addentra fra le memorie del Centro storico, chi si sofferma sulle pagine dell'Anonimo e degli annalisti, o ritrova in molti paesi del mondo le tracce di uomini d'un tempo lontano, sente di leggere una storia dentro la storia, scopre una patria dentro la patria».

Il quesito da porsi nel terzo millennio non è quello di anacronistiche restaurazioni, ma di riflettere nel mondo della globalizzazione se la definizione di un'identità, da leggersi non in contrapposizione agli altri, ma quale consapevolezza di sé, sia un valore o un disvalore. A differenza di altre regioni la Liguria non ha un museo degli usi e delle tradizioni liguri degno di questo nome; come Genova non ha un museo della storia della città. La riscoperta delle proprie radici può essere bollata dagli scettici una patetica operazione nostalgica, ma se riflettiamo sul senso etimologico del termine tradizione trasmissione, ecco allora che la memoria delle generazioni passate può essere un utile strumento di conoscenza per impostare meglio l'avvenire. Le problematiche dell'immigrazione extracomunitaria e le difficoltà di adattamento si comprenderebbero certo meglio alla luce dell'analoga esperienza dei Liguri o andando ad analizzare le condizioni e gli espedienti di vita dei nostri emigranti non molte generazioni fa.

Vi sono fenomeni meno appariscenti, ma non trascurabili che riguardano il territorio. L'esodo dalla montagna non ancora terminato, che comporta in alcune vallate la desertificazione, con le conseguenze immaginabili. In altre aree dell'entroterra più appetibili la calata in massa di turisti stranieri, che acquistano interi paesi, sostituendosi gradatamente alla popolazione locale, per soggiornarvi poi nelle migliori delle ipotesi un paio di mesi all'anno. Esiste una programmazione territoriale per frenare lo sradicamento e guidare questi mutamenti?

Il lapidario giudizio di William Saroyan è un monito ancora attuale: «Coloro che non sanno ricordare il passato, sono costretti a riviverlo».

*etnoantropologo

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