Genova: la Repubblica d'oro
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Corriere della Sera Venerdì 26 gennaio 2001

Questo articolo è stato distribuito e commentato dal M.I.L.

STORIE D'ITALIA Gli splendori della Superba: la città marinara ai tempi di Andrea Doria e dei suoi successori costituì uno dei capisaldi della potenza spagnola nel continente europeo

GENOVA La leggenda della Repubblica d'oro

La città di mercanti, banchieri e condottieri che tenne in pugno re e imperatori

di ALBERTO TENENTI

La capitale ligure è ben nota per essere stata una delle quattro repubbliche marinare d'Italia e anzi una delle maggiori. La sua eccezionale parabola fu quasi parallela a quella delle altre fino al Trecento, quando i destini di tutte e quattro si fecero senz'altro divergenti. Amalfi era nettamente decaduta, Pisa sottomessa a Firenze all'inizio del Quattrocento. Rimanevano indipendenti, ma dall'assai diversa prosperità appunto Genova e Venezia. La seconda rimase saldamente ancorata ai suoi traffici con il levante e dal Quattrocento legata a un assai vasto retroterra italiano, che si era conquistato. A Genova sconfitta di misura in Levante dopo epiche campagne navali, con le sue esigue Riviere restò la povera Corsica. In compenso i suoi imprenditori e i suoi mercanti si volsero sempre più verso la penisola iberica, che sarebbe divenuta la sorgente del loro grande ruolo internazionale nel corso di tutto il XVI secolo.
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«La resa di Breda» con il genovese Ambrogio Spinola, Comandante supremo delle truppe spagnole, immortalato dal Velasquez

In Andalusia ed in particolare nella sua piazza emergente di Siviglia i genovesi si seppero progressivamente affermare come banchieri e abili protagonisti di operazioni commerciali. Certo là non erano i soli, affiancati sia da vari operatori economici fiorentini che soprattutto da uomini d'affari della ricca Germania meridionale. Era una concorrenza che si sarebbe poi risolta a favore dei liguri verso la metà del Cinquecento, a colpi di appoggi principeschi.

I re spagnoli, dopo essersi affermati espugnando l'ultimo regno musulmano della Penisola iberica - quello di Granada - nello stesso 1492, grazie a un genovese, divennero i primi sovrani europei a piantare le loro insegne sul continente americano.

Nel '500
i legami con
Carlo V si erano
fatti stretti

Nella convenzione di Madrid del 1528 Carlo V, imperatore e re di Spagna, accordava ai genovesi piena libertà di commercio e pari diritto con gli stessi spagnoli in tutti gli Stati da lui dipendenti. Pressoché contemporaneamente Andrea Doria ritirava la flotta dall'assedio in cui i francesi stringevano Napoli e passava così dalla parte dell'imperatore.

Per quanto le inimicizie interne fra grandi famiglie e fra ceti cittadini non venissero affatto messe a tacere, per circa un secolo da allora la capitale ligure venne a costituire uno dei capisaldi della potenza spagnola nel continente. Alla testa di quel partito rimase a lungo lo stesso Andrea Doria, che trasmise poi il potere ad altri membri della sua famiglia. Il valoroso ammiraglio, come altri armatori genovesi, mise le proprie galere a disposizione degli spagnoli. Fu ad esse d'altronde che, per evitare di attraversare il territorio francese, venne affidato assai presto il compito  di trasportare metalli preziosi dello stato spagnolo da Barcellona al porto di Genova.

Nella sfera degli affari, già prima del 1528 i legami finanziari tra le famiglie di banchieri genovesi e l'impero di Carlo V si erano fatti sempre più stretti e anche questo contribuì alla decisiva svolta di quell'anno. Adamo Centurione, vissuto tra l'inizio del Cinquecento e il 1568, fu quasi sicuramente il primo a stabilire contati finanziari con il giovane imperatore, prima di diventare uno dei suoi principali fornitori di capitali. Attivissimo nei commerci con la Spagna, nel 1549 egli vi acquistò per 800mila monete d'argento il marchesato di Estepa e Padrera, segno tangibile dello sviluppo della sua ascesa economico politica. Il Centurione era molto vicino ad Andrea Doria, così come Agostino e Battista Spinola, altra grande famiglia di uomini d'affari.

Come si è accennato, i banchieri germanici Welser e soprattutto Fugger occuparono i primi posti nelle finanze spagnole durante la prima metà del Cinquecento. La situazione però non tardò a cambiare a favore dei liguri. L'influenza dei tedeschi subì un colpo nel 1556 quando la corona spagnola di Filippo II per volere di Carlo V, che abdicava, venne a trovarsi separata da quella del fratello Ferdinando designato imperatore. La successiva crisi del Tesoro iberico negli anni 1557-1559 contribuì a rendere sempre più effettivo il controllo esercitato dai banchieri genovesi, in particolare quello di Adamo Centurione e della sua cerchia.

Tra i magnati di questo periodo andrebbe ricordato anche Tobia Pallavicino che fece costruire dall'architetto Galeazzo Alessi il suo omonimo splendido palazzo.

Una famiglia che seppe, fin da subito, trarre notevoli vantaggi dalla nuova influenza spagnola fu quella dei Grimaldi. Era un'antica dinastia che non poco, in passato, aveva sofferto delle discordie politiche interne che hanno caratterizzato a lungo la vita della comunità genovese. Proprio esse, e in particolare con l'esilio di uno di Franceschino Grimaldi nel 1297 durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, erano state all'origine della signoria del ramo primogenito della famiglia Grimaldi a Monaco. Nel 1512 il re di Francia Luigi XII riconobbe l'indipendenza del principato, che per maggiore sicurezza si pose sotto la protezione della Spagna. Intanto, vari e importanti membri della famiglia Grimaldi erano rimasti a Genova. Gerolamo Grimaldi figurava tra i cittadini più ricchi ed era un fortunato banchiere di Carlo V, mentre Nicolò Grimaldi fu principe di Salerno, duca di Eboli e marchese di Diano. Detto il Monarca per le sue fastose ricchezze, egli si fece costruire il superbo palazzo, che dopo essere passato ai duchi di Tursi, è divenuto sede del municipio di Genova. Verso la fine del Cinque cento erano almeno diciotto i Grimaldi impegnati in Spagna: tre ne traevano le rendite fra le più ingenti degli uomini d'affari genovesi.

La vera e propria supremazia finanziaria genovese prese piede negli anni Settanta del Cinquecento e risultò legata ancor più di prima alla congiuntura politico-militare europea.

Con la vittoria di San Quintino (10 agosto 1557) il re di Spagna Filippo II si era imposto quale monarca dominante sulla scena occidentale. Gli unici in grado di approvvigionare Filippo II in modo soddisfacente erano appunto i banchieri della capitale ligure, che, oltre a manovrare con ampi profitti le disponibilità dello stesso Filippo II, non esitarono evidentemente a investire anche i capitali loro propri, per accrescerne il rendimento. Ma proprio per le prospettive di guadagno che si aprivano a Genova, vi affluivano altri consistenti risparmi e depositi provenienti dalle città italiane e spagnole. Così la piazza si trasformò per parecchi decenni in un gigantesco crogiuolo in cui venivano manipolate le ricchezze di due continenti. I rapporti tra i banchieri genovesi e il governo spagnolo furono certamente tutt'altro che idilliaci, poiché esso subiva il salasso finanziario del tutto di malavoglia e anche per ridurre l'entità delle sue perdite non esitò a dichiarare bancarotta nel 1575, nel 1596, nel 1607 e nel 1627. Ma quanto fossero praticamente indispensabili i capitali genovesi alla Spagna lo dimostra un episodio molto significativo.

Spinola ottenne
il comando
supremo delle
truppe iberiche

Nel 1575 Filippo II, largamente scontento, prese la risoluzione di non rivolgersi più a loro. Per rappresaglia essi riuscirono a bloccare i movimenti di oro sulla piazza di Anversa: i soldati ricevettero sempre meno le loro paghe finché inferociti si ammutinarono e si rifecero sulla città saccheggiandola a lungo nel novembre del 1576. Il re si rassegnò allora a cedere alle esigenze dei banchieri liguri. Sotto questo riguardo è notevole che dal 1603 lo stesso comando supremo delle truppe spagnole venisse affidato al condottiero genovese Ambrogio Spinola, che l'anno precedente aveva messo in campo diecimila uomini assoldati a proprie spese. Fino al 1607 fu l'animatore della rimonta delle fortune militari spagnole.

Lungo tutto il Cinquecento la società genovese aveva espresso una così eccezionale somma di energie, che ne aveva fatto una delle protagoniste della storia europea. I suoi grandi banchieri avevano continuato in buona parte a dedicarsi anche ai negozi mercantili secondo l'antica tradizione, ma si erano mostrati assai più sensibili di prima al prestigio dell'arte.

Un certo numero di essi non esitò a intraprendere in due quartieri contigui la costruzione di maestosi palazzi cosicché Pieter Paul Rubens poté proporli alle città dell'Europa settentrionale come modelli da imitare.

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