"Annullata l'identità ligure"
liguria@francobampi.it
 

Home > La protesta continua > "Annullata l'identità ligure"
[ Indietro ]

Il Lavoro - La Repubblica Mercoledì 19 maggio 1999
la storia cancellata (6)

"Annullata l'identità ligure"

Monteverde: negare il ricordo per cancellare la diversità

di FRANCO MONTEVERDE

L'oblio del passato è frutto di precise scelte politiche per negare una realtà straordinaria

Se la storia di Genova, ma anche delle altre città liguri, paracadutata nell'oblio nell'animo stesso dei genovesi è frutto di precise scelte politiche volte a cancellare una realtà politica e sociale straordinaria, quella dell'antica repubblica, che aveva saputo illuminare di sé non solo le vicende della penisola italiana, quanto il continente europeo e le lunghe sponde del Mediterraneo per oltre otto secoli, quella storia doveva essere cancellata per permettere a Napoleone di rubare le risorse dello Stato, delle grandi famiglie, ma anche delle tante corporazioni, compagnie, casaccie e parrocchie così numerose e ricche, ma anche per far dimenticare una organizzazione politica basata sul rifiuto della tirannia e della guerra. Come convincere un coscritto, spedito a forza nelle steppe russe, se non dipingendo il vecchio ordine con tinte fosche?

Ma quella stessa storia doveva essere cancellata anche per permettere alla Casa Savoia di cancellare il ricordo di uno Stato che si era affermato sul rispetto dei patti sottoscritti, sulla rinuncia a possedere un esercito e sul rifiuto della guerra come strumento di conquista e di soggezione di altri popoli.

Purtroppo lo Stato italiano, dimentico della lezione dei garibaldini e dei mazziniani, erede degli stati assolutisti alla francese trapiantati al di qua delle Alpi, e del Regno di Sardegna, guerrafondaio e sempre infido per chi lo sceglieva come alleato, ha perseguito l'obiettivo di pulire etnicamente la storia della penisola, liberandola dalla presenza fastidiosa della Repubbliche di Venezia, Genova e Lucca.

Raro è il caso che un stato-nazione abbia imposto alla propria popolazione la rinuncia alla propria identità: in genere è avvenuto nei confronti di minoranze che costituivano un pericolo per la propria sopravvivenza. L'impero tedesco mai ha imposto una lettura negativa della storia alle città anseatiche, l'impero austriaco mai ha cancellato le culture, gli idiomi e la cultura giuridica dei tanti popoli che ne facevano parte, per parlare di due Stati indicati per decenni da tanti chierici come oscurantisti.

Ma in Italia sì; non solo è stata negata, almeno fino al 1945, l'identità dei valdostani, o degli altoatesini, o degli sloveni dell'Istria, ma anche di quelle popolazioni la cui storia e i cui diritti costituivano una anomalia che poteva indebolire l'ascesa dello stato italiano come potenza militare e politica europea.

A tal punto è stata manomessa la storia da vedere negli anni che vanno dal trionfo delle armate spagnole di Carlo V fino all'invasione dell'esercito di Napoleone solo una lunga parentesi di decadenza economica, culturale e politica, dalla quale l'Italia era uscita contando sulla generosità della dinastia sabauda, quale perno dell'intero risorgimento nazionale.

Che importanza aveva se le Repubbliche di Genova, o di Venezia o di Lucca erano in quegli stessi anni ricchissime, prospere, erano sostenute dal consenso delle popolazioni e non dovevano «ospitare» reggimenti stranieri?

Chi ha visto la mostra di Van Dyck ha avuto davvero la sensazione di trovarsi di fronte a una serie di ritratti di uomini e donne che nei loro visi, nei loro abiti e nei loro portamenti mostravano i segni di una supposta decadenza fisica, morale e politica, o non piuttosto la sorpresa di scoprire una realtà politica, sociale e culturale nascosta dalla stupidità e dall'oscurantismo della retorica ufficiale?

Per esaltare lo stato-uno occorreva affermare il contrario anche contro ogni evidenza. E a sostenerlo erano soprattutto quegli apparati dello stato che più di ogni altro avrebbero dovuto difendere la ricchezza culturale e quella politica della penisola, come la scuola dell'obbligo e quella superiore, le università, le sovraintendenze.

È stata negata dignità ad una lingua, quella genovese, degradandola a dialetto, è stata nascosta una cultura economica, finanziaria e politica di valore europeo, sono stati sollevati contro l'immagine della Repubblica i risentimenti di numerose città delle riviere e dell'entroterra nascondendo il suo carattere autenticamente federale, rispettoso delle autonomia di tutti, sancite da patti mai violati. E purtroppo lo spirito fazioso dei liguri si è lasciato andare a questo gioco al massacro che li ha resi tutti psicologicamente orfani e politicamente senza radici.

Di tutto ciò è stato ben consapevole Mussolini, che recuperò lo straordinario patrimonio politico e culturale delle Repubbliche, per utilizzarlo in chiave imperialista, ossia ribaltando il senso di quella eredità.

Purtroppo ancora oggi le sedi degli apparati pubblici agiscono in chiave oscurantista e non a caso è proprio dalla burocrazia che vengono gli appelli contro una riforma federalista dello stato che riporterebbe alla luce il carattere policentrico della cultura italiana, liberandola da un oscurantismo arrogante e dispotico.

Esiste il pericolo che venga imposto un modello di un uomo privo di ogni radice, facilmente addomesticabile in quanto ridotto al ruolo di suddito. Occorre affilare le armi, difendere il diritto dei contadini di fare le formaggette come a loro aggrada, ai boscaioli di coltivare i boschi come loro sanno, difendere noi stessi da un grande nemico, il totalitarismo.

[ Indietro ]