Quando Genova disobbedì
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Il Secolo XIX Domenica 21 settembre 2003

Un episodio di orgoglio pagato a caro prezzo: la città fu presa d'assedio e saccheggiata dalle milizie regie

Quando Genova disobbedì a Carlo Alberto

Dopo la sconfitta dell'esercito sabaudo, nel 1849, non accettò l'armistizio con l'Austria

LUCIANO CAPRILE

     
Alfonso La Marmora fu nominato commissario straordinario nella Genova insorta dopo la fine della prima guerra di indipendenza  

La storia, si sa, viene scritta dal vincitore a cui non piace raccontare due cose in particolare: le sconfitte e le imprese affatto onorevoli. A proposito del nostro Risorgimento, poco o nulla si è studiato a scuola della battaglia di Bronte e ancor meno, forse, della "rivoluzione di Genova" dell'aprile del 1849.

Che cos'era capitato? A seguito della sconfitta dell'esercito sabaudo a Novara, Radetzky aveva concesso l'armistizio a Carlo Alberto a patto che gli alleati deponessero le armi. Genova aveva disobbedito costituendo un governo provvisorio retto dall'avvocato David Morchio, dal comandante della Guardia Nazionale Giuseppe Avezzana e dal deputato Costantino Reta. Toccò quindi ad Alfonso La Marmora e ai suoi bersaglieri conquistare con la forza la città. Perché l'uso della violenza?

Ha scritto il generale nelle sue memorie pubblicate nel 1871: "Rifugiavansi in Genova molti emigrati e fra non pochi onesti e benemeriti patrioti, s'infiltrava pure in città un buon numero di esaltati, di faccendieri, di spie e di facinorosi, di cui taluni rei di delitti comuni. Dimodoché si trovò a Genova, in breve, riunita una massa di gente ogni giorno pronta a sollevare la plebe contro il Governo e ad insultare l'esercito". Tanto bastava per ordinare l'assalto e per permettere alle truppe libertà di saccheggio e d'altro ancora.  Queste notizie le abbiamo trovate su un libretto pubblicato nel 1850 in una non specificata località italiana da "un testimonio oculare" (che poi era l'avvocato Emanuele Celesia) e intitolato "Della Rivoluzione di Genova nell'aprile del 1849 esposta nelle sue vere sorgenti". Si legge infatti nella prefazione rivolta "al lettore italiano": "L'autore di queste memorie fu testimonio di fatti e intende narrarli con interezza e senza studio di parte. Niuno finora, ch'ei sappia, cercò indagare il concetto che ingenerò la vigorosa manifestazione di Genova, e la verità soffocata pria dal cannone, venne quindi a gara stuprata dalle note officiali e da prezzolati scrittori".

  Era stato costituito un
governo provvisorio e
toccò al generale
Alfonso La Marmora e
ai suoi bersaglieri
conquistare con la
forza la città

Egli è certo che "la protesta di Genova contro l'alleanza coll'Austria verrà registrata con nobile orgoglio nelle istorie d'Italia, quando l'Italia sarà risorta a dignità di Nazione. Marsiglia, novembre 1849". E' dunque il grido di un patriota fuoruscito che immagina già come le vicende verranno manipolate. A nulla servì l'appello di Costantino Reta per far desistere La Marmora da uno scontro fratricida. Le milizie reali riuscirono a occupare alcuni forti e diverse zone strategiche della periferia nonostante la strenua opposizione di uomini e di donne di ogni età e ceto.

"Ma gli orrori di una guerra sleale e veramente fraterna non bastavano ad estinguere nei nostri aggressori la sete di sangue. Verso il meriggio del dì 5 aprile un fiero bombardamento intronava l'intiera Città. Durava ben trentasei ore. Le racchette, le bombe, le palle cadeano a diluvio, sfondando i tetti e profondavano morti, incendii e rovine. Il quartier di Portoria ne fu sovra tutti mal concio", annota il Celesia e più avanti inorridisce: "In ben oltre trecento cinquanta famiglie () infuriò la bestialità delle forsennate milizie che sfondarono gli uscii delle pacifiche case e tutto mandavano a ruba. Oltre agli averi dei cittadini si diè piglio ai vasi sacri ed agli arredi dei templi - si stuprarono vergini - le madri insultavansi - nel palazzo del Principe Doria si fecero ingollare ad alcuni dei nostri prigioni gallette inzuppate di sangue, diversi ufficiali animando coll'esempio i soldati".

È l'inizio della fine: "Il giorno 9 le truppe entravano in Città, le precedeano i bersaglieri a passo di carica, seguivano i squadroni di cavalleria, venivano in ultimo i fanti. () Trentamila uomini che più non esistevano contro il Tedesco posero l'ordine in Genova.() Entrate le truppe, Genova fu la città del martirio. Noi vedemmo un'altra volta dagli antri delle polizie tenebrose sguinzagliati i segugi, vedemmo destituiti senza ombra alcuna d'accusa fra i magistrati Celesia, Montesoro, Balestreri e Grondona." E Garibaldi?" Garibaldi, l'eroe di S.Antonio, di Luino e di Roma non poté libero respirar l'aure della sua Genova, e tolto di carcere venne duramente respinto dalla sacra terra d'Italia. Cacciati i buoni () la sciabola era arbitra sola dei nostri destini".

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