Lo scenario
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Il Secolo XIX Domenica 11 gennaio 2004

Lo scenario

Le drammatiche giornate di Genova dal 30 marzo al 9 aprile 1849 sono sparite dai testi ufficiali di storia e hanno riscosso scarso interesse anche fra gli studiosi. La città non era insorta contro il proprio re - come ipocritamente si è voluto far credere - si era opposta alla pace vergognosa che riconsegnava l'Italia Settentrionale all'egemonia dell'Austria.

Rimasta repubblicana anche dopo l'annessione forzata al Piemonte, decretata nel 1815 dal Congresso di Vienna, Genova aveva molte ragioni per diffidare della politica del governo di Torino. In particolare la borghesia che andava affermandosi avversava la politica protezionistica di Torino, a difesa dei privilegi secolari dell'aristocrazia terriera. Genova, città aperta ai traffici sul mare, guardava piuttosto alla Lombardia come retroterra naturale.

La rinuncia di Carlo Alberto a condurre una guerra di popolo contro l'Austria venne quindi vissuta come un tradimento. Nello sviluppo della rivolta naturalmente giocarono anche spinte repubblicane (incarnate dal Circolo Italiano) e il sentimento popolare, nettamente orientato contro i "tedeschi", i nemici secolari, e favorevole invece alle istanze della Francia, retta dalla monarchia liberale di Luigi Filippo. Si trattava di istanze minoritarie, esageratamente valutate negli ambienti di corte di Torino, dove i genovesi si erano guadagnati l'epiteto di "Anarchisti".

Il nuovo re, Vittorio Emanuele II, colse nell'insurrezione popolare il germe di un pronunciamento repubblicano che non esisteva, almeno come pericolo imminente e reale. Spedì a riportare l'ordine a Genova trentamila soldati, al comando del generale Alfonso La Marmora. E fu una strage, punteggiata da una orribile sequenza di violenze che non risparmiò le donne e da sanguinose razzie perpetrate di casa in casa. Una pagina vergognosa per i bersaglieri e per i savoia, che solo dodici anni più tardi si sarebbero consacrati re d'Italia.

R.Par (Renzo Parodi)

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