L'assedio di La Marmora
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Il Lavoro - la Repubblica Giovedì 14 aprile 1994

Maggio-aprile del 1849
Saccheggiata la città in rivolta

L'assedio di La Marmora
L'armistizio con Bixio

di PIERO PASTORINO

LA SCONFITTA dei piemontesi a Novara contro l'Austria ebbe riflessi devastanti anche a Genova. La notizia che la guerra era persa e l'altra riguardante l'abdicazione di Carlo Alberto giunsero nel capoluogo ligure il 27 marzo 1849. Per i democratici era la prova del tradimento dei conservatori e dei reazionari torinesi che vedevano liquidata, con quella "finta guerra", la rivoluzione nazionale. Ma la colpa del disastro si rovesciava anche sui democratici, che l'avrebbero favorito con l'azione disgregatrice della propaganda repubblicana. A Genova gli umori si accendono. Le autorità governative autorizzano il comandante del Presidio a mettere la città in stato di assedio. La folla reagisce e si dirige a Palazzo Tursi, sede della Guardia nazionale. Qui i democratici del "Circolo Italiano" proclamano un comitato di difesa. Viene letto pubblicamente un messaggio, che era stato intercettato, del comandante del Presidio, generale De Asarta. contenente l'invito al generale Alfonso La Marmora di marciare sulla città con la sua divisione. Il comandante della Guardia nazionale, Giuseppe Avezzana, si schiera col comitato di difesa. Si teme, in particolare, che gli austriaci si dirigano verso Genova, roccaforte democratica dello Stato, col tacito consenso dell'autorità politica e dell'esercito. Anche i ceti sociali più bassi entrano in scena, chiedendo armi come già nel 1746. Si può anzi dire, come avverrà quasi cent'anni dopo, che l'insurrezione si tingerà di toni a carattere più popolare che borghese. Caso curioso, i moti genovesi - dal 1° al 10 aprile - si svolgeranno nella Settimana Santa così come accadde 50 anni fa alla Benedicta.

Il ricercatore Luigi Grasso, autore di un saggio sulla Comune di Genova del 1849, non è propenso a credere, a differenza del professor Giovanni Rebora, a sentimenti visceralmente antipiemontesi. Sono opinioni che si lasciano agli storici. Stando ai fatti, il 30 marzo trentamila persone raggiungono piazza Acquaverde dove si e asserragliato il Presidio militare, ma lo scontro è rinviato grazie ai buoni uffici del comitato di difesa, che ha eletto un triumvirato formato da Avezzana, nativo di Chieri, dall'avvocato David Morchio e dal deputato Costantino Reta, appena giunto da Torino. Il primo aprile, domenica delle Palme, la città insorge. Tutti sono armati, anche le donne e parecchi ragazzi, con fucili, pistole, sciabole e altre armi bianche. Grande parte della folla si avvicina all'arsenale da San Tommaso, dalla salita della Visitazione, da via Pre; altri dirigono a Palazzo Ducale, dove si sono insediati i triumviri, perché la nuova dirigenza politica della città rompa ogni indugio. Avezzana, deposti i gradi, si pone a cavallo alla testa degli insorti. All'Acquaverde, carabinieri e soldati del reggimento Guardia aprono il fuoco: sette i1lsorti restano sul terreno; altri, rifugiatisi dietro il monumento di Colombo, vengono snidati e finiti con colpi alla nuca. Gli uomini del Presidio chiedono comunque la resa, fatta salva la clausola politica: «Genova rimarrà inalterabilmente unita al Piemonte».

Purtroppo non è finita. Il 4 aprile il generale Alfonso La Marmora (col fratello Alessandro, fondatore dei bersaglieri) si presenta con la sua divisione nei pressi della città e nello stesso pomeriggio, conquistato il forte delle Tenaglie, da Granarolo piomba sulla rocca della Lanterna. Gl'insorti, dopo un primo sbandamento, contrastano le truppe regie ai piedi della salita degli Angeli e alla Chiappella. Ma le artiglierie obbligano alla ritirata su una linea di difesa a San Benedetto. La popolazione di San Teodoro subirà le maggiori violenze e saccheggi. Palazzo Doria sarà perso, riconquistato e perso nuovamente. II 5 aprile la città sarà bersaglio di un bombardamento "dimostrativo". La ribellione di Genova scuote i patrioti: il 6 aprile giungono da Roma, via mare, Mameli e Bixio, per tentare la via dell'armistizio. Questo si concreterà il 10 aprile, ma stupri e ruberie continueranno ancora un mese.

Il movimento di piazza non fu condotto solo da genovesi - in massima parte portuali, artigiani, con l'apporto di uomini di studio - ma vi aderirono esuli lombardi, polacchi e quanti in Genova avevano trovato temporaneo rifugio. Rimase difficile stabilire il numero delle vittime: furono senz'altro un centinaio tra i rivoltosi; circa la metà tra i militari. Molte salme furono seppellite nella chiesa dei Cappuccini, quella del Padre Santo, tanto per intenderci; altre nel cimitero che si trovava alla Foce.

    Oggi sfilano, ma ieri devastarono Genova

Foto ingiallita dal tempo: in piazza della Vittoria, al passo, con la mitica Fanfara in testa

Motivi politici misero la sordina a questo episodio sanguinoso del Risorgimento. Anche i repubblicani si mostrarono restii a calcare la mano. Nel 1949,lo stesso sindaco Gelasio Adamoli fu più propenso alla pacificazione. Unico nome che ebbe una via cittadina intitolata fu Alessandro De Stefanis, ma per una medaglia d'oro conquistata su altro campo di battaglia. A parere di Grasso, sarebbe almeno il caso di rendere onore postumo alle molte altre vittime di quelle tragiche giornate. La qualcosa non pare del resto improponibile, anche a distanza ai cento anni.

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