Savoia, "tiranni" a palazzo Tursi
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Corriere Mercantile Mercoledì 9 ottobre 2002

DIBATTITO ANTI-OPPRESSORE

Savoia, "tiranni"
a palazzo Tursi

Tutti spaccati, alcuni Ds hanno votato con
la Lega. Appassionato intervento di Borzani

I reali in
esilio

Vittorio
Emanuele e
Marina Doria
che presto
dovrebbero
rientrare in
italia. Sui loro
avi e sulle
malefatte e
sulla ostilità nei
confronti di
Genova si è
sviluppato un
lungo e
surreale
dibattito nella
sala rossa di
palazzo Tursi

La Storia entra nella sala rossa in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II di Savoia "l'oppressore". O meglio, in nome dei genovesi che nell'aprile 1849 subirono il "sacco" della città ordinato dall'allora sovrano di Casa Savoia. Il diritto dei genovesi a pretendere, dagli eredi attuali di Casa Savoia, le scuse e possibilmente anche un risarcimento per quell'atto di oppressione e di violenza, è stato il tema del dibattito, dai toni a tratti surreali, che si è svolto ieri in consiglio comunale su proposta del capogruppo della Lega nord, Edoardo Rixi.

    
  Edoardo Rixi

Rixi ha presentato, infatti, una mozione nella quale riprendeva un'interpellanza presentata nel luglio scorso dal senatore diessino Aleandro Longhi, per sapere se vi fossero «elementi concreti per il riconoscimento del danno causato alla città di Genova dal Re Vittorio Emanuele II, mandante del "Sacco di Genova" dell'aprile 1849, e sull'obbligo del risarcimento nei confronti del Comune di Genova, degli eredi, gli attuali componenti di Casa Savoia, o, in subordine, che almeno gli eredi della casa Savoia chiedano ufficialmente scusa e perdono alla città e ai cittadini di Genova».

«Visto che adesso si parla di una richiesta di risarcimento allo Stato italiano, da parte dei Savoia, di circa 1500 miliardi di lire per il patrimonio perso - osserva Rixi - io chiedo che il Comune di Genova si faccia, invece, portavoce di una richiesta di risarcimento per i danni politici ed economici che la città subì nel 1849». La risposta della diessina Annamaria Dagnino, non proprio entusiasta di doversi occupare dei Savoia nella sala rossa, è un ordine del giorno nel quale si proponeva l'organizzazione di un convegno sui moti, mazziniani e repubblicani, del '49. Massimo Franco, di Liguria Nuova, rilancia, proponendo che, per "par condicio" con la lapide che, a Tursi, ricorda il matrimonio della regina Maria Cristina celebrato all'Acquasanta, «nell'atrio di Palazzo Tursi si metta un'altra lapide per ricordare le vittime dei moti del '49». Richiesta accolta dalla diessina Dagnino che integra così l'ordine del giorno, preannunciando, però, il voto contrario del suo gruppo alla mozione della Lega, sebbene questa ricalcasse in buona parte il documento del collega di partito Longhi. Proprio per quest'ultima ragione Giuseppe Costa fa sapere che Forza Italia non voterà quella mozione, mentre Patrizia Poselli, di Rifondazione comunista, annuncia: «Voteremo a favore dell'ordine del giorno ma non parteciperemo al voto sulla mozione, perché non riteniamo di dover condividere parte del nostro tempo e della nostra responsabilità per una cosa di questo tipo». Non la pensa così l'assessore alla Città educativa, Luca Borzani: «Io non credo che il consiglio comunale non possa discutere di momenti simbolici» osserva, pur sottolineando che il rischio è quello di «un uso politico della storia che non serve a far crescere la nostra identità». Borzani, storico di professione, si lascia andare poi a un appassionato intervento, proponendo ai consiglieri una lettura che vede un legame fra i moti del 1849 e la guerra di liberazione del 1945 «quando Genova fu l'unica città che si liberò da sola». Condivide, quindi, la proposta di una lapide dedicata ai caduti nell'insurrezione del '49 e non dà nessuna indicazione di voto sulla mozione della Lega. E alla fine la lapide si farà, visto che l'ordine del giorno viene approvato a larga maggioranza (con l'astensione di Fi e il "no" di An), mentre la mozione della Lega viene respinta a maggioranza - nonostante la cancellazione della parte relativa alla richiesta di risarcimento - ma ottiene anche i "sì" di alcuni diessini e del comunista Tirreno Bianchi.

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