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il Giornale Sabato 17 maggio 1997

Il consigliere vuole una lapide per ricordare la Repubblica marinara

Bampi: «Che rimpianto
il Duce della Superba»

Soffia anche in Forza Italia il vento di piazza San Marco

«Il mio partito ha nel suo nome l'unità d'Italia». Premessa doverosa, quella di Franco Bampi, capogruppo in Comune di Forza Italia, baffo risorgimentale e vittima da qualche settimana di una strana forma di leghismo di ritorno. Lui nella Lega aveva mosso i primi passi e siccome non è uomo da equazioni semplici, nonostante nella vita privata insegni fisica matematica, ricorda con orgoglio quella scelta che lo portò a Tursi con un mezzo uragano di preferenze. «Diventai leghista perché ero ambientalista - racconta - e seguendo una trasmissione di Santoro capii che i problemi dell'ambiente, come molti altri, si risolvono solo a casa propria. C'era un prato devastato dall'inquinamento. Mi sono detto: io non so nemmeno dov'è. È giusto che siano gli abitanti del luogo ad avere la possibilità di difendere il loro patrimonio».

Cosa c'entra tutto questo con l'intervista che state leggendo? C'entra. Perché senza aver chiarito questo punto si potrebbe pensare che il consigliere Bampi si prepari a salire sulla Lanterna con il blindato, rigorosamente finto, posteggiato in piazza De Ferrari.

Allora Bampi, lei presenterà lunedì prossimo una lunga mozione in cui si chiede all'amministrazione comunale una serie di provvedimenti per celebrare il duecentenario della fine della Repubblica di Genova.
«Sei provvedimenti, per essere precisi. Il prolungamento della mostra di Van Dyck che proprio nella Repubblica trovò l'ambiente ideale per produrre i suoi capolavori. Il recupero dei busti di Andrea Doria e di Gian Andrea Doria, che sono il simbolo di quei secoli di splendore e andrebbero ricollocati nell'atrio di Palazzo Tursi. L'affissione di un manifesto per le strade della città che ricordi la grandezza della Repubblica sovrana e indipendente e gli uomini che l'hanno guidata. L'esposizione per tutto il mese di giugno della bandiera di Genova a mezz'asta. La messa a lutto della bandiera della città che sventola sopra la torre di Palazzo Ducale e del gonfalone del Comune. L'apposizione di una lapide marmorea nella cattedrale di san Lorenzo con incisa questa epigrafe: in questo luogo sacro il 17 marzo 1576 vennero accettate e giurate le Leges Novae che ressero la Repubblica di Genova fino al giugno del 1797».
Anno di costituzione della repubblica democratica...
«Sedicente democratica, dico io. Quella fu la fine della Superba, l'avvento del giacobinismo e la preparazione dell'annessione prima all'Austria poi al regno di Sardegna. La fine di quella indipendenza e di quella grandezza che resero Genova un modello per l'Europa di allora e di oggi».
Che fa, rimpiange il Doge?
«Veramente nella terminologia ufficiale si chiamava Duce, Duxe in genovese. Ed era condottiero di una grande città, capace di produrre ricchezza e di intervenire direttamente nel sociale in favore dei più deboli. Secondo regole che in molti casi funzionerebbero oggi meglio di quelle attuali. Penso al sorteggio dei membri del governo, che avveniva tra i cittadini ritenuti più meritevoli. Una sorta di primarie seguite dall'estrazione a sorte, meccanismo che metteva al riparo dalle lobby di potere. E poi, una volta eletto, il governo della città era libero di governare. Veniva giudicato solo alla fine del ciclo amministrativo, in modo molto severo, dai supremi sindacatori. Non c'era instabilità ma grande rigore nel reprimere errori ed abusi».
Oggi invece...
«Abbiamo un partito che persegue scientificamente la distruzione dei nostri valori e della nostra storia».
Sarebbe?
«Mi sembra evidente: il Pds. I comunisti oggi sono come robot programmati per distruggere, solo che si sono perse le tracce del programmatore e non c'è modo di fermarli».
Cosa vuol dire?
«Mi spiego meglio. Quando c'era il comunismo, avevano un obiettivo: abbattere la borghesia con la sua storia e i suoi valori. Ora il comunismo non c'è più e loro sono senza guida. Ma continuano inconsciamente nella stessa opera».
Anche a Genova?
«Soprattutto a Genova. Ma si guardi in giro: tutta ciò che rappresenta i valori e la storia della nostra città è nel mirino del Pds. L'Expo è l'esempio più evidente».
E perché?
«È un gigantesco laboratorio dell'annientamento. Laggiù si sperimenta il brodino primordiale nel quale vogliono annegare la città per meglio gestire il potere. Si intitolano i moli a Falcone e Borsellino, si costruiscono improbabili piste sul ghiaccio. Nulla di genovese. E nel frattempo si uccide il centro storico, lasciato al degrado più profondo e vampirizzato dall'Expo, che monopolizza l'attenzione dei turisti senza spingerli a visitare la città vera, quella dei carruggi».
Una speranza?
«Riscoprire l'orgoglio delle proprie radici. Ma la secessione non bisogna farla dal Sud, bisogna farla dai comunisti».

g.cam. (Giacomo Cambiaso)

(foto: Bruno Maccarini)

La «buca» per i «biglietti di calice»

Franco Bampi indica la «buca» nella quale i genovesi inserivano le proteste contro il governo dogale

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