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My port, my town

Franco Bampi

«Il Dialogo», n. 1 - aprile 2002

Il mio porto, la mia città. Uno slogan il cui significato appare assolutamente centrato e pertinente: il porto è tessuto urbano, un quartiere da vivere, è la città stessa che si confonde col suo porto, fonte della sua ricchezza e del suo sviluppo. Il porto esprime quindi essenza e ragione della città di mare.

Ma non bisogna certo attendere che l'inglese assuma il ruolo di lingua internazionale per sentir affermare questo concetto. Basta andare a spulciare, come ha fatto il prof. Giovanni Rebora, antichi documenti della Repubblica di Genova per scoprire che in un atto del 1531 destinato al Senato per la concessione di stipendio a un privato si trova scritto: «... nettar quella bella gioia del nostro porto da sì notabil danno...», danno causato da quattro navi che avevano perso proprio nel porto di Genova il loro carico. Quella bella gioia del nostro porto! Ricordando che l'atto era diretto a un privato, così commenta il prof. Rebora: «L'uso della figura retorica non è quindi dettato da necessità propagandistiche: denota la convinzione del cancelliere Oberto Veneruso e connota la diffusa consapevolezza dell'importanza economica, tecnica e culturale del manufatto portuale, giustamente considerato un gioiello».

D'altra parte le stesse leggi che reggevano Genova prevedevano una costante attenzione affinché il porto fosse sempre in perfetta efficienza. Padri del Comune, ad esempio, è il nome dato al magistrato, composto da cinque soggetti, che presiedeva al pubblico acquedotto, alle strade, piazze e a tutti i ponti. Questo magistrato possedeva una specifica sezione, Salvatores Portus et Moduli, cui spettava la cura del porto di Genova e precisamente aveva responsabilità "sulle fabbriche, sullo stabilimento e sulla manutenzione di ambi i Moli", ossia il Molo Vecchio (il Molo) e il molo di Capo di Faro dove sorge la Lanterna. Si ha notizia certa che il magistrato per la manutenzione del porto e dei moli esisteva già fin dal 1303. Per completezza si ricordi che i Conservatori del Mare non presiedevano ad alcuna manutenzione bensì erano il giudice di tutte le questioni civili e penali in materia marittima.

In una città senza piazze, prorompe la centralità del porto che risulta documentata sia negli atti di governo, sia nei documenti privati, sia nella stessa forma urbana di Genova. Non a caso il primo Capitano del Popolo, Guglielmo Boccanegra eletto nel 1251, fa costruire il suo palazzo alla radice del Ponte della Mercanzia, così come il Banco di San Giorgio, la potente istituzione economica della Repubblica di Genova fondato nel 1407, utilizza questo palazzo ampliandolo poi nella sua forma attuale.

E oggi? Sul porto le competenze di organismi concorrenti si sprecano, tanto che la legge nazionale prevede che il Comune e l'Autorità Portuale coordinino i rispettivi Piani Regolatori, che saranno poi approvati dalla Regione. Sono sicuro che i nostri antenati non avrebbero mai accettato una simile sovrapposizione di competenze cui corrisponde una concreta difficoltà nel gestire il porto in modo efficiente e fruttifero. La competenza sul porto deve ritornare alla città, al Comune, perché possa continuare a essere la sua ricchezza e la sua gioia o, se preferite, per poter davvero affermare my port, my town.

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