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Genova: città multietnica o cosmopolita?

Franco Bampi

«Il Dialogo», n. 3 - luglio 2001

Un nuovo fenomeno sta emergendo ai danni degli automobilisti genovesi. Migliaia di prigionieri immobili costretti sulle macchine ai semafori (come cantava Battiato nel 1985) si trovano a fare i conti con scatenati lavavetri extracomunitari che, insensibili ai dinieghi degli autisti, lanciano acqua e sapone (e chissà che altro!) sul parabrezza delle auto e reclamano poi la loro mercede per il servizio svolto, anche se non richiesto né desiderato. Così i genovesi più eccitabili danno segni di voler passare alle vie di fatto, mentre altri tentano di dissuadere gli stranieri dalla loro azione suonando, di sorpresa, il clacson.

È questa la città che stiamo preparando per i nostri figli? Una città multietnica incapace di offrire un lavoro decoroso ai suoi ospiti, costretti quindi a molestare i “prigionieri immobili” nella più totale assenza di un cenno di controllo da parte di chi ci governa? Una città i cui cittadini esasperati diventano intolleranti xenofobi per difendersi come possono dalle molestie di una pletora di disperati, troppo spesso reclutati dalla malavita?

Anche in questo caso è interessante capire cosa accadeva quando Genova era la Superba Repubblica, la Dominante dei Mari. Come osserva Roberto Lopez, autore di un celebre libro sulle colonie genovesi, Genova fu probabilmente la sola importante città italiana nella quale le associazioni artigiane rimasero sempre aperte a chiunque superasse gli esami tecnici di ammissione, stranieri compresi. Genova non attuò alcuna forma di protezione per le sue attività mercantili e consentì agli stranieri residenti d'esercitare quasi tutte le attività commerciali permesse ai propri cittadini. Non sorprende quindi che Genova fu estremamente liberale nel concedere la naturalizzazione degli stranieri, contrariamente alla maggior parte delle città italiane che frapponevano ogni sorta di ostacoli. A Venezia, per fare un esempio, la cittadinanza piena veniva concessa solamente per meriti straordinari. Solo nel basso medioevo, in un periodo di depressione, una legge del 1404 esigeva un minimo di residenza di tre anni. Altrimenti Genova accordava immediatamente tutti i privilegi della cittadinanza a chiunque promettesse di accettarne i doveri. Acutamente il Lopez rimarca che «questa politica, adottata anche nelle colonie del mar Nero e del Levante, fu uno degli strumenti migliori della potenza genovese secondo la testimonianza di un ammiratore non sospetto, un senatore veneziano del XIV secolo».

Perfino quando nel mondo era diffusa la schiavitù, l'atteggiamento dei genovesi si rivelava estremamente tollerante anche con gli schiavi, prevalentemente donne di razza bianca, non mancando la mano d'opera maschile. Infatti le schiave potevano essere riscattate e, come ci informa il Belgrano, moltissimi documenti notarili comprovano che i padri non esitavano a riconoscere i loro figli illegittimi, spessissimo nati da relazioni con schiave.

Questo accadeva nella Serenissima Repubblica di Genova: chi accettava i doveri, ossia le leggi e i costumi della città, era accolto senza difficoltà: poteva diventare cittadino e godere dei diritti che ne derivavano. In questo senso Genova era una città cosmopolita, un luogo dove confluivano gli interessi del mondo di allora, ma non era multietnica perché richiedeva agli stranieri la completa integrazione e il rispetto della città e dei cittadini. Ben altra cosa rispetto alla situazione di oggi in cui, sotto un apparente rispetto delle tradizioni dei popoli, si consente una continua violenza sui genovesi e si tollera un'ignobile situazione di sfruttamento degli stranieri.

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