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Genova e i Savoia

Franco Bampi

«Il Dialogo», n. 2 - novembre 2002

Vito Vitale, nel suo celebre Breviario della Storia di Genova, scrive: «Nel 1580 l’ambasciatore Giorgio Doria aveva ottenuto dall’Imperatore, Rodolfo II, (e nella richiesta era il riconoscimento del principio medievale che poneva nell’Impero la suprema fonte del diritto) la concessione del titolo di Serenissimo per il Doge, per il Senato e per tutta la Repubblica. (...) Fiere le opposizioni, specialmente del Duca di Savoia, che alla fine fu costretto ad arrendersi: su ben altro terreno doveva portarsi tra non molto il conflitto». In poche decine di anni, quest’altro terreno diventa palese.

Per conquistare il marchesato di Zuccarello, acquistato dai Genovesi, nel 1625 Carlo Emanuele I di Savoia attaccò Genova (prima guerra savoina). Imprevedibili fattori internazionali arrestarono la sua marcia vittoriosa. I Genovesi attribuirono alla Madonna la loro salvezza ed eressero un Santuario dedicato a Nostra Signora della Vittoria presso Mignanego, dove fu fermata l'invasione sabauda. Nel 1628 su incarico dello stesso Carlo Emanuele I di Savoia, Giulio Cesare Vachero congiurò contro la Repubblica ma fu scoperto e fu condannato a morte. In quella occasione venne quindi eretta la famosa colonna infame in via del Campo oggi coperta dalla fontana fatta costruire poi dai familiari.

Non molti anni dopo, nel 1672, Carlo Emanuele II di Savoia istigò il genovese Raffaele Della Torre a congiurare a suo favore contro la Repubblica di Genova. La congiura fu scoperta e Della Torre fu condannato a morte in contumacia, banditi i figli e posta ad eterna infamia una lapide ancora visibile in Via Tomaso Reggio sulla parete di Palazzo Ducale. Irritato dal fallimento della congiura, nello stesso anno 1672 Carlo Emanuele attaccò Genova in più occasioni (seconda guerra savoina). I Genovesi riportarono alcune vittorie e firmarono la pace il 18 gennaio 1673. E i Savoia furono anche presenti nel celeberrimo episodio del Balilla del 5 dicembre 1746 avendo avuto da Maria Teresa d’Austria la promessa di ottenere il marchesato di Finale, acquistato dai Genovesi proprio dal padre di Maria Teresa per un’ingente somma. «Una sottigliezza formale è che Genova entra in guerra contro il Piemonte, non contro l'Austria...» scrive Teofilo Ossian De Negri.

E venne il Congresso di Vienna che decise, contrari Popolo e Governo di Liguria, l’annessione (scrive il De Negri «tra tutte la più odiosa») al Regno sabaudo di Sardegna. Con le Regie Patenti del 23 gennaio 1816 re Vittorio Emanuele I abbassò le code dei grifoni che reggono lo stemma di Genova. Gravissimo fu il Sacco di Genova dei primi dell’aprile 1849 quando Genova fu abbandonata per 36 ore al saccheggio dei bersaglieri guidati da Alfonso Ferrero di La Marmora. In una lettera scritta in francese, Vittorio Emanuele II si complimentò con La Marmora per aver ben operato a Genova e definì i Genovesi «vile e infetta razza di canaglie». Con le Regie Patenti del 19 dicembre 1897, re Umberto I modificò le code dei grifoni consentendo alla punta della coda di essere rivolta verso l’esterno. C’è chi giura che questa concessione fu dovuta al fatto che il 18 luglio 1886 venne inaugurato un monumento in piazza Corvetto alla memoria del padre, Vittorio Emanuele II...

Finita la seconda guerra mondiale venne l’esilio dei Savoia quasi a conferma della profezia di San Giovanni Bosco, piemontese, il quale ammonì invano Vittorio Emanuele II a non sopprimere gli ordini religiosi e incamerarne i loro beni perché «la famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione». Oggi stiamo aspettando il rientro dei eredi maschi di Casa Savoia. E visto che gli eredi ereditano non solo gli onori ma anche gli oneri, il senatore della Repubblica italiana Aleandro Longhi ha chiesto al Governo se esistano elementi concreti per riconoscere il danno subito dalla città nel 1849 e chiederne il risarcimento ai Savoia.

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