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Il Secolo XIX
Lunedì 27 maggio 2002

Cevini: «È necessario tutelare
l'architettura del Novecento»

Per le piscine di Albaro, progettate nel 1936 dall'ingegner Paride Contri, è «corretto, anzi opportuno» che la Soprintendenza sia intervenuta a salvaguardia della costruzione. «Se un rimprovero si può fare - dice Paolo Cevini, docente di Storia dell'architettura contemporanea nonché autore del libro "Genova anni Trenta. Da Labò a Daneri" - riguarda semmai il ritardo con cui si è intervenuti. La Soprintendenza opera al meglio delle sue possibilità, ma quasi nulla dell'architettura del Novecento e anche dell'Ottocento è vincolato: manca ancora una coscienza diffusa, che però piano piano si sta facendo strada».

Perché c'è poca attenzione? Si tratta di edifici non apprezzati perché brutti?
«Non ha senso parlare di bello o brutto, non sono valori estetici a essere in gioco, ma quelli storici. Il valore sta nel significato di documento del gusto e della cultura architettonica di una certa epoca della nostra storia. Ma la condanna morale del fascismo ha portato ad una vera e propria rimozione di tutto ciò che si identificava con il regime».

L'ingegner Paride Contri era appunto fascista.
«Sì della prima ora, ci credeva davvero. L'architettura razionalista voleva essere rivoluzionaria, avanguardista e per questo fu protetta e avallata da Mussolini. Contri era un dipendente comunale che come altri colleghi era fortemente impegnato in senso culturale. Fino agli anni Sessanta, proseguendo idealmente l'esperienza di Carlo Barabino, architetto civico dell'Ottocento, il Comune progettava le sue opere pubbliche e negli anni Trenta i suoi ingegneri e architetti vivevano in presa diretta l'esperienza delle avanguardie a livello europeo».

Un esempio tipico dell'architettura di regime è piazza della Vittoria di Piacentini.
«Lì si può parlare di stile littorio, negli archi ci sono ancora espliciti riferimenti al classicismo. C'è pietra, massa muraria. Albaro è razionalista nei corpi semicircolari avanzati, nelle finestre a nastro, nella superficie intonacata bianca che conferisce alla costruzione un carattere quasi astratto».

Può dunque essere considerato un monumento?
«Sì, in quanto condensato dei valori di un'epoca, che si pone al di sopra della produzione corrente. Stesso discorso vale per il mercato de Fiori, dello stesso Contri, che è stato invece deplorevolmente distrutto. Però nessuno si sognerebbe di demolire Palazzo Spinola, sede della prefettura, o Palazzo Imperiale a Campetto o ancora Palazzo Serra, che sono esempi di buona architettura del secolo d'oro genovese ma non certo paragonabili a Palazzo Pitti».

Lei critica altri interventi a Genova?
«In piazza De Ferrari è stata realizzata un'operazione che ha offeso la fontana, alterando l'equilibrio tra i giochi d'acqua e l'architettura di pietra e bronzo. Poteva andare bene, che so, a Selva di Val Gardena. Ma tutto è passato quasi sotto silenzio perché non c'è percezione diffusa dei valori in gioco. Alla Fiumara è stato demolito un edificio di metà Ottocento, culla della moderna industria italiana, salvo poi ricostruirlo. Anche lì, è passato tutto inosservato».

Quali sono adesso le emergenze in gioco?
«L'urgenza si pone soprattutto per gli edifici privati. Basti pensare che piazza Rossetti disegnata da Luigi Daneri non ha alcun vincolo. Attraverso un accordo tra le parti, Soprintendenza e Facoltà di architettura sono impegnate in una sorta di catalogazione dell'architettura del Novecento a Genova, base indispensabile per procedere poi all'intervento di tutela».

Andrea Plebe

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