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La Padania Sabato 6 dicembre 2003

Genova accoglie l'Istituto nazionale di Tecnologia

Nella città della Lanterna un polo produttivo d'eccellenza

SIMONE BOIOCCHI

 

 

Il professor Franco
Bampi: «Genova deve
divenire la porta,
il punto di transito
delle merci. Il sito
dell'Alta Tecnologia»

Anche il professor Franco Bampl, titolare della cattedra di meccanica razionale presso la facoltà di ingegneria di Genova plaude alla decisione del governo che, tramite Il ministro per le riforme Istituzionali, on. Umberto Bossi, ha rassicurato la città della Lanterna sulla realizzazione dell'Istituto Italiano di Tecnologia.

Ben più di una sola possibilità che garantirebbe al capoluogo ligure ma anche a Lombardia, Piemonte ed Emilia di compiere un importante salto in avanti verso la qualità e l'innovazione di un prodotto. Due caratteristiche fondamentali soprattutto oggi quando le piccole e medie imprese, vero motore economico del Paese, si trovano costrette a fare i conti con l'invasione dei prodotti made in China.

Difficile stabilire con esattezza quali saranno i compiti del nuovo centro.

Professore, se la sente di fare un azzardo e cercare di spiegare che cosa farà l'Istituto Italiano di Tecnologia?

«Guardi, nella legge che lo istituisce c'è una frase assolutamente criptica secondo la quale l'Istituto ha "lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l'alta formazione tecnologica". È chiaro che chiunque si occuperà di realizzarlo deve affrontare questi due temi. Il problema, come è facile immaginare, è però un altro e cioè: Dietro queste due parole che cosa c'è?».

Una domanda che presuppone una risposta.

«Personalmente capisco che "alta formazione tecnologica" vuole dire che qualcuno deve dare vita ad una scuola. Nessuno potrà smentirmi se dico che solitamente la parola formazione è connessa alla parola scuola. Ma che scuola ci sarà? Non certamente l'Università che già esiste per legge e che è l'unica titolata a lasciare il titolo di laurea. Ecco che potrebbero essere allora corsi di dottorato gestiti dall'Università all'esterno delle sue strutture, oppure corsi specialistici, quelli che nella lingua inglese si chiamano master. L'Università Bocconi di Milano, ad esempio, fa dei master che non sono titoli universitari ma attestati differenti. Rilasciati però da Università prestigiose, come ad esempio la stessa Bocconi, hanno un valore che va oltre quello legale. Un'altra cosa che deve fare questo istituto è quella di formare le persone in ambito tecnologico».

Quindi il secondo argomento, lo sviluppo tecnologico del Paese.

«Un argomento fondamentale. Favorire lo sviluppo tecnologico del Paese vuoi dire affrontare le esigenze delle industrie. Credo che "promuovere lo sviluppo tecnologico" voglia dire trovare un sistema in cui le industrie partecipano attivamente e anche finanziariamente. Sono loro che devono dire quali sono le esigenze delle aziende investendo per cercare di risolvere, non il problema industriale, quanto quello teorico-pratico che sta dietro una specifica area tecnologica del Paese. Se io, ad esempio, voglio realizzare uno strumento che faccia determinate cose ma è difficile farlo, serve prima di tutto uno studio teorico pratico su come si fa. Se sto studiando una catena di produzione e voglio fare un raffinato controllo statistico di qualità on line che mi permetterebbe di evitare il magazzino, anche questo potrebbe essere uno studio teorico ma non uno studio di industrializzazione. A quest'ultimo è l'azienda che deve fare fronte. Ribadisco, invece, che ogni qualvolta si venga a verificare un problema teorico-pratico di rilevante Importanza, l'intervento spetta all'Istituto Italiano di Tecnologia».

Quali e quanti i soggetti in campo?

«Fondamentalmente ci sono due grandi soggetti: da un lato l'Università che si trova fisicamente a Genova ma che si confronta con il mondo. Penso che si possano prevedere collaborazioni con altre Università e anche con industrie. Mi torna in mente una vecchia proposta della Lega Nord avanzata quando era ancora in vita il professor Miglio. A quei tempi esisteva una commissione federale dell'Università della quale anche io facevo parte. Guardando a questo penso che l'Istituto Italiano di Tecnologia potrebbe anche favorire la nascita di agenzie incaricate di analizzare temi specifici».

Come crede reagiranno le Università?

«I rettori hanno già parlato di "disprezzo nei confronti dell'Università". Siccome i rettori sono una sorta di istituto di mediazione, se usano una parola così dura, vuol dire che hanno meditato la scelta, I rettori hanno interpretato questo finanziamento come una forma di depauperamento dell'Università. Io, invece, credo che quest'ultima sia fondamentale e che abbia una serie di problemi che devono essere affrontati magari anche come proponeva il Carroccio nel 1994 quando parlava dello scorporo in aree omogenee. Quello che accade anche nella grande industria. Se un imprenditore ha una ditta che produce scarpe, intimo e computer non può certo pensare di avere una direzione unica. Crea, invece, una holding e tre diverse aziende, ognuna operante in un settore diverso. Quello che si potrebbe fare anche per l'Università».

Quali, a questo punto, le ricadute per Genova?

«In questo caso le parlo da genovese. Genova è un posto che non riesce ad avere grandi industrie pesanti, grandi territori di lavorazione. Non abbiamo una pianura. Al contrario, Genova deve divenire la porta, il punto di transito delle merci. Il sito dell'Alta tecnologia. Per questo il territorio favorevole c'è. C'è il mare, ci sono le riviere e tantissime "opzioni" naturali che possiamo offrire all'alta dirigenza. L'Istituto di Tecnologia dovrebbe portare a Genova, in un ambiente gradevole, persone che grazie al lavoro molto qualificato che svolgono, possano investire sul nostro territorio e, inevitabilmente, creare interessanti ricadute. Questo è il primo segnale che dobbiamo portare alla città: l'alta dirigenza. Ci sono industrie di alta qualità che vogliono collaborare attivamente con questo istituto garantendo, nel contempo, importanti ricadute sulla città. Chiaro anche che c'è tutto un retroterra genovese, parlo della Lombardia, del Piemonte e, in parte, dell'Emilia, caratterizzato da gente operosa che potrebbe servire da supporto al progetto».

Come fare dunque?

«Ci sarebbero molte cose da dire. Certo è che qui ci sono dei punti di eccellenza che si "scaricano" anche sull'interno. È però necessario che la stessa Regione si adoperi affinché si possano garantire quel servizi di alta qualità che l'alta dirigenza cerca. Dobbiamo avere scuole di prim'ordine, ottimi ospedali... Non possiamo certo aspettarci che venga in città un grande scienziato, magari da un campus californiano e non dargli la possibilità di trovare posteggi in città. costringerlo ad attendere bus che non passano mai...».

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